in Frasi & Aforismi (Libri)
Anche se dovesse far male da morire, è vivere che voglio.
dal libro "Oceano mare" di Alessandro Baricco
Anche se dovesse far male da morire, è vivere che voglio.
Lasciami andare a vedere il sogno, la velocità, il miracolo, non fermarmi con uno sguardo triste, questa notte lasciami vivere laggiù sull'orlo del mondo, solo questa notte, poi tornerò...
E assolutamente in silenzio, iniziò a piangere in quel modo che è un modo bellissimo, un segreto di pochi, piangono solo con gli occhi, come bicchieri fino all'orlo di tristezza, e impassibili mentre quella goccia di troppo alla fine li vince e scivola giù dai bordi, seguita poi da mille altre, e immobili se ne stanno lì mentre gli cola addosso la loro minuta disfatta.
Perché c'era qualcosa, tra quei due, qualcosa che in verità doveva essere un segreto, o qualcosa di simile.
Così era difficile capire ciò che si dicevano e come vivevano, e com'erano.
Ci si sarebbe potuti sfarinare il cervello a cercar di dare un senso a certi loro gesti. E ci si poteva chiedere perché per anni e anni. L'unica cosa che spesso risultava evidente, anzi quasi sempre, e forse sempre, l'unica cosa era che in quel che facevano e in quello che erano c'era qualcosa - per così dire - di bello.
Per mille volte cercò gli occhi di lei, e per mille volte lei trovò i suoi.
Sono qui perché se mi arrendo questa volta mi arrenderò tutta la vita.
Padre, vi ringrazio. Grazie per avermi accompagnato al treno, il mio primo giorno di guerra. Grazie del rasoio che mi avete regalato. Grazie per le giornate a caccia, tutte. Grazie perché casa nostra era calda, e i piatti senza incrinature. Grazie per quella domenica sotto il faggio di Vergezzi. Grazie per non aver mai alzato la voce. Grazie per avermi scritto ogni domenica da quando sono qui. Grazie per aver lasciato sempre aperta la porta quando andavo a dormire. Grazie per avermi insegnato ad amare i numeri. Grazie per non avere mai pianto. Grazie per i soldi infilati tra le pagine del sussidiario. Grazie per quella sera a teatro, voi ed io, come principi. Grazie dell'odore di castagne, quando tornavo dal collegio. Grazie per le messe in fondo alla chiesa, sempre in piedi, mai in ginocchio. Grazie di aver indossato l'abito bianco, per anni, il primo giorno d'estate. Grazie per la fierezza e la malinconia. Grazie per questo nome che porto. Grazie per questa vita che stringo. Grazie per questi occhi che vedono, queste mani che toccano, questa mente che comprende. Grazie per i giorni e gli anni. Grazie perché eravamo noi. Mille volte grazie. Per sempre.
La sera, come tutte le sere, venne la sera. Non c'è niente da fare: quella è una cosa che non guarda in faccia a nessuno. Succede e basta. Non importa che razza di giorno arriva a spegnere. Magari era stato un giorno eccezionale, ma non cambia nulla. Arriva e lo spegne. Amen. Così anche quella sera, come tutte le sere, venne sera.
"Non devi pensare che io sia infelice: non lo sarò mai più." Mi lasciò secco, quella frase. Aveva la faccia di uno che non scherzava, quando la disse. Uno che sapeva benissimo dove stava andando. E che ci sarebbe arrivato. Era come quando si sedeva al pianoforte e attaccava a suonare, non c'erano dubbi nelle sue mani, e i tasti sembravano aspettare quelle note da sempre, sembravano finiti lì per loro, e solo per loro. Sembrava che inventasse lì per lì: ma da qualche parte, nella sua testa, quelle note erano scritte da sempre.
Adesso so che quel giorno Novecento aveva deciso di sedersi davanti ai tasti bianchi e neri della sua vita e di iniziare a suonare una musica assurda e geniale, complicata ma bella, la più grande di tutte. E che su quella musica avrebbe ballato quel che rimaneva dei suoi anni. E che mai più sarebbe stato infelice.
Sembrava l'inizio di una qualche felicità. Poi si sa come vanno le cose scivolano sempre, impercettibili, non c'è verso di fermarle, se ne vanno, semplicemente se ne vanno, hai un bel cercare di fermarle: se ne vanno.