Credevo davvero che non ci saremmo persi mai. Mi sembrava impossibile. Una volta ho letto da qualche parte: le amicizie fanno il loro tempo e finiscono. Non nel nostro caso, pensai allora, non nel nostro caso.
Il corpo è meno corruttibile dello spirito. Lo spirito è uno scenario seducente di autoinganni intessuto di belle parole tranquillizzanti, che simulano ai nostri occhi una confidenza con noi stessi scevra di ogni fallacia, una familiarità con le modalità del conoscere che ci mette al riparo dalla possibilità di venire sorpresi da noi stessi. Come sarebbe noioso tuttavia vivere in una simile autocertezza che esclude ogni sforzo!
Da allora so come gli esseri umani possano essere avviluppati tra loro e presenti l'uno dentro l'altro ad abissali profondità, senza averne la più pallida idea.
La scacchiera di Jorge. Il modo in cui me la tese. Un modo che è solo suo. Non conosco nessuno che riesca a imporsi così. Un imporsi cui per nulla al mondo vorrei sottrarmi. Con le sue mosse che ti mettono con le spalle al muro quando si gioca a scacchi. Che cosa voleva riparare? Ma soprattutto è giusto dire: voleva riparare qualcosa? Non ha detto: "Mi hai frainteso a proposito di Estefania". Ha detto: "Pensavo allora che potessimo parlare di tutto quello che ci passava per la mente. Ci eravamo sempre comportati così, non ti ricordi più?". Dopo quelle parole per pochi secondi, pochi secondi appena, ho pensato che avremmo potuto ritrovarci. È stata una sensazione ricca di calore, meravigliosa. Ma si è estinta ben presto. Il suo naso enorme, le borse sotto gli occhi, i denti anneriti. Un tempo quel volto era stato dentro di me, una parte di me. Adesso rimaneva al di fuori, più estraneo del volto di un estraneo che non fosse mai stato dentro di me. È stata una tale lacerazione nel mio petto, una tale lacerazione.