"Avrei potuto": non riusciremo mai a comprendere il significato di questa frase. Perché in ogni momento della nostra vita ci sono cose che sarebbero potute accadere, ma che alla fine non sono avvenute. Ci sono istanti magici che passano inosservati quando, all'improvviso, la mano del destino muta il nostro universo.
Forse ci innamoriamo sempre quando ci ritroviamo a guardare l'uomo dei nostri sogni la prima volta. Anche se in quell'attimo la ragione ci dice che stiamo sbagliando, e noi cominciamo a lottare, senza voler realmente vincere, contro questo istinto. Fino a quando arriva il momento in cui ci lasciamo sopraffare dall'emozione.
Lui è un uomo. E un'artista: ha il dovere di sapere che il grande scopo dell'essere umano è comprendere l'amore totale. L'amore non sta nell'altro ma dentro noi stessi. Siamo noi che lo risvegliamo. Ma perché ciò accada abbiamo bisogno dell'altro. L'universo ha senso solo quando abboiamo qualcuno con cui condividere le nostre emozioni.
Un uomo, il suo cavallo ed il suo cane camminavano lungo una strada. Mentre passavano vicino ad un albero gigantesco, un fulmine li colpì, uccidendoli all'istante. Ma il viandante non si accorse di aver lasciato questo mondo e continuò a camminare, accompagnato dai suoi animali. A volte, i morti impiegano qualche tempo per rendersi conto della loro nuova condizione... Il cammino era molto lungo; dovevano salire una collina, il sole picchiava forte ed erano sudati e assetati. A una curva della strada, videro un portone magnifico, di marmo, che conduceva a una piazza pavimentata con blocchi d'oro, al centro della quale s'innalzava una fontana da cui sgorgava dell'acqua cristallina. Il viandante si rivolse all'uomo che sorvegliava l'entrata. "Buongiorno" "Buongiorno" rispose il guardiano. "Che luogo è mai questo, tanto bello? " "È il cielo" "Che bello essere arrivati in cielo, abbiamo tanta sete! " "Puoi entrare e bere a volontà". Il guardiano indicò la fontana. "Anche il mio cavallo ed il mio cane hanno sete" "Mi dispiace molto", disse il guardiano, "ma qui non è permesso l'entrata agli animali". L'uomo fu molto deluso: la sua sete era grande, ma non avrebbe mai bevuto da solo. Ringraziò il guardiano e proseguì. Dopo avere camminato a lungo su per la collina, il viandante e gli animali giunsero in un luogo il cui ingresso era costituito da una vecchia porta, che si apriva su un sentiero di terra battuta, fiancheggiato da alberi. All'ombra di uno di essi era sdraiato un uomo che portava un cappello; probabilmente era addormentato. "Buongiorno" disse il viandante. L'uomo fece un cenno con il capo. "Io, il mio cavallo ed il mio cane abbiamo molta sete". "C'è una fonte fra quei massi", disse l'uomo, indicando il luogo, e aggiunse: "Potete bere a volontà". L'uomo, il cavallo ed il cane si avvicinarono alla fonte e si dissetarono. Il viandante andò a ringraziare. "Tornate quando volete", rispose l'uomo. "A proposito, come si chiama questo posto? " "Cielo" "Cielo? Ma il guardiano del portone di marmo ha detto che il cielo era quello là! " "Quello non è il cielo, è l'inferno". Il viandante rimase perplesso. "Dovreste proibire loro di utilizzare il vostro nome! Di certo, questa falsa informazione causa grandi confusioni! " "Assolutamente no. In realtà, ci fanno un grande favore. Perché là si fermano tutti quelli che non esitano ad abbandonare i loro migliori amici... "
Ti ho atteso come Penelope aspettava Ulisse, come Giulietta aspettava Romeo, come Beatrice aspettava Dante per riscattarlo. Il vuoto della steppa era affollato dai ricordi di Te, dei momenti passati insieme, dei luoghi nei quali siamo stati, delle nostre gioie e delle nostre discussioni. Ma quando guardavi indietro, verso le orme dei miei passi, non ti vedevo. Ho sofferto molto. Ho capito che avevo imboccato un cammino senza ritorno, e mi sono resa conto che, quando agiamo così, non possiamo fare altro che continuare per quella strada. Allora sono andata da un nomade che avevo conosciuto tempo prima, gli ho chiesto di insegnarmi a dimenticare la mia storia personale, ad aprirmi all'amore che è presente in ogni luogo. Con lui, ho cominciato ad apprendere la tradizione del Tengri. Un giorno, guardandomi intorno, ho visto quell'amore riflesso in un paio d'occhi: nello sguardo di un pittore di nome Dos. Ero molto addolorata: non potevo credere che fosse possibile amare di nuovo. Lui non mi ha detto molte cose: mi ha solo aiutato a perfezionare il russo, e mi ha raccontato che nella steppa usano sempre la parola "azzurro" per designare il cielo, anche quando è grigio - perché sanno che al di sopra delle nuvole è sempre di quel colore. Mi ha preso per mano, e mi ha aiutato ad attraversare queste nuvole. Mi ha insegnato ad amare me stessa, prima che ad amarelui. Mi ha rivelato che il mio cuore doveva servire me e Dio, e non essere assoggettato alle necessità degli altri. Mi ha detto che il mio passato mi avrebbe accompagnato per sempre: tuttavia, quanto più fossi riuscita a liberermi dei fatti e a concentrarmi solo sulle emozioni, tanto più avrei capito che nel presente esiste sempre uno spazio grande come la steppa, che dev'essere colmato con atro amore e altra gioia di vivere. Infine mi ha spiegato che la sofferenza nasce quando ci aspettiamo che gli altri ci amino nel modo che immaginiamo, e non nella maniera in cui l'amore deve manifestarsi - libero, incontrollato, pronto a guidarci con la sua forza e a impedirci di fermarci.
E in fin dei conti, come dice un saggio persiano "L'amore è una malattia dalla quale nessuno riesce a liberarsi". Chi ne è stato colpito non cerca di ristabilirsi, e chi ne soffre non desidera essere curato.