Sogna, ragazzo sogna quando lei si volta, quando lei non torna, quando il solo passo che fermava il cuore non lo senti più. Sogna, ragazzo sogna passeranno i giorni, passerà l'amore, passeran le notti, finirà il dolore sarai sempre tu!
I venti non si sa mai quando arrivano, come arrivano. Sono improvvisi e inspiegabili come i moti del cuore. Un istante prima sei calmo, sei sereno ed ecco che ti senti addosso un'agitazione, una frenesia... i venti cambiano cose che eran lì immutate da sempre: spiagge, boschi, ghiacciai. Abbiamo forse anche noi dei venti nel cuore? Qualcosa che quando arriva è più forte di tutti e non vuol sentire ragioni? È così, pensai, che si diventa pazzi? È così che appare di schianto una verità che non conoscevi e non volevi conoscere? Avevamo già letto quel brano a scuola, ma allora non avevo pensato al vento. Lì, in mezzo a quel turbinio, a quel vocio, a quello strusciare angoscioso dell'aria sui muri, lo vidi, il vento, quello che una volta nella vita entra nel cuore di un uomo e glielo sconquassa. Fuori era tutto un ululato. E così nel cuore di quel bandito (o era un bravo?, non ricordavo) che voleva suicidarsi. La pistola ci aveva impressionati tutti in classe: chissà se avrebbe tirato o no il grilletto, ci chiedevamo. Ma adesso capivo. C'era troppo vento dentro di lui perché lo tirasse. E un vento che non è come un libeccio: quando arriva non è mai per caso, non è mai senza un perché... (...) e poi quando il vento s'attenuta, si placa, ti guardi intorno e vedi che tutto è stato sconvolto, che tutto è mutato, irriconoscibile. L'albero pende spezzato, le pietre sono rotolate via, i vetri infranti, i vasi dei fiori in cocci, la fontana zeppa di rami e foglie. Ti volgi intorno e c'è una luce mai vista, spettrale, come se il mondo ricominciasse da lì e tutta quella rovina fosse stata necessaria. I venti dell'anima portano qualcosa come questa luce, ma prima devono trascinarti giù, più giù, perché senza fine non c'è inizio.
E invece non finisce mai, si fa più piccolo che può, e non ti lascia in pace mai, toglie il respiro a dirgli "no"; e più ne perdi e più ne hai, e più ne incontri e più ne dai: l'amore non finisce mai!
Se pensate di leggere questo romanzo come una favola non cominciatelo nemmeno. La favola è fuori di qui, la favola è nel nostro strazio quotidiano, nella nostra incapacità di far corrispondere quel che diciamo a quel che sentiamo.
Io amo Primula. Non posso parlare con lei, e sento questa mancanza come uno strappo, un dolore senza fine. Non mi bastano e non le bastano i gesti, le carezze, gli sguardi: tutto ciò è di una dolcezza animale che riempie solo una minima parte dello spazio comune: come un continuo rispondere senza domande. Come se per dipingere avessi tutto tranne i colori.
Individuai allora due silenzi. Quello totale, inguaribile, della solitudine senza rimedio: e capii che questo silenzio lo ripempiamo in modo ridicolo di cose che non hanno parole alle spalle; e l'altro, che le parole non abbandonano mai e te lo concedono per amarle ancora di più. Si parla per sentirsi vivi: è come se la morte, la fine, avessero paura, si tenessero lontane quando un uomo racconta ed emoziona.
Primula sa che io l'amo e mi ama, ma dentro di sé ha un nugolo di sentimenti che vorrebbe tirar fuori e non può; si aiuta a gesti, a parole smozzicate. Non che m'importi per me, ma soffro per lei. Lo vedo, sarebbe felice di farmi un discorso, raccontarmi di più, trovare tenerezza, ma tutto quel che ha dentro purtroppo resta lì, perché le mancano le parole. Io le dico: "Non preoccuparti, capisco lo stesso, so cosa vorresti dirmi", ma non le basta, non può bastarle. I suoi occhi si riempiono di lacrime, si accuccia sul mio corpo e singhiozzando farfuglia un "volevo dire..." che rimane a mezz'aria, come una premessa senza fine.