Scritta da: mor-joy
Ci sono solo due stupende medicine per aiutarci a sopportare il veleno della realtà ed impedire che ci uccida prematuramente: questi sono l'intelligenza e l'indifferenza.
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Ci sono solo due stupende medicine per aiutarci a sopportare il veleno della realtà ed impedire che ci uccida prematuramente: questi sono l'intelligenza e l'indifferenza.
Non è soltanto con la bocca che si tace o si parla di qualcosa, ma anche con l'anima.
Il dolore è passato. La vita lo ha trasformato in qualcos'altro; dopo averlo provato, dopo aver singhiozzato, lo si nasconde agli occhi del mondo come una mummia da custodire nel padiglione funerario dei ricordi. Passa anche il dolore provocato dall'amore, non credere. Rimane il lutto, una specie di cerimonia ufficiale della memoria. Il dolore era altro: era urlo animalesco, anche quando stava in silenzio. È così che urlano le bestie selvatiche quando non comprendono qualcosa nel mondo – la luce delle stelle o gli odori estranei – e cominciano ad avere paura e ululare. Il lutto è già un dare senso, una ragione e una pratica. Ma il dolore un giorno si trasforma, la vanità e il risentimento insiti nella mancanza si prosciugano al fuoco purgatoriale della sofferenza, e rimane il ricordo, che può essere maneggiato, addomesticato, riposto da qualche parte. È quel che accade ad ogni idea e passione umane.
Il sentimento è più forte di noi, più fatale.
Alle domande più importanti si finisce sempre per rispondere con l'intera esistenza.
Non ha importanza quello che si dice nel frattempo, in quali termini e con quali argomenti ci si difende. Alla fine, alla fine di tutto, è con i fatti della propria vita che si risponde agli interrogativi che il mondo ci rivolge con tanta insistenza.
Due persone non possono incontrarsi neanche un giorno prima di quando saranno mature per il loro incontro.
Non basta amare qualcuno. Bisogna amare con coraggio. Bisogna amare in modo tale che nulla, né ladri né influenze esterne né leggi umane o divine, possano interferire con questo sentimento.
Ho trentaquattro facce. Oppure trentasei?
Chi mi conosce?
Scompaio come l'anima invisibile, sguscio tra le mani.
Il mio mondo è l'immortalità, perché sguscerò via anche dalle mani della morte.
Essa non conosce il mio volto.
Non riuscirebbe a vedere quello vero neanche se mi sorprendesse a casa da solo.
Per molto tempo crediamo di conoscere la natura dei nostri desideri, delle nostre inclinazioni e dei nostri stati d'animo. Ma poi arriva un attimo in cui un'esplosione assordante ci avverte che viviamo in luoghi diversi da quelli in cui vorremmo vivere, che non ci occupiamo delle cose per cui abbiamo attitudine, che cerchiamo i favori o suscitiamo la collera di persone con cui non abbiamo nulla in comune, mentre ci manteniamo distanti, sordi e indifferenti nei confronti delle persone di cui proviamo nostalgia e a cui siamo legati da un vincolo profondo. Chi non presta ascolto a un tale avvertimento rischia di vivere una vita goffa e dimezzata, senza mai essere veramente se stesso. Non è un sogno, e neanche un "sogno a occhi aperti": è uno strano, rapinoso stato d'animo quello che ci rivela quali siano i nostri compiti, i nostri obblighi e il nostro destino, e che cosa, nella nostra vita, appartenga esclusivamente a noi; questi istanti ci mostrano ciò che vi è di personale nella nostra esistenza, quello che entro i limiti angusti della condizione umana costituisce l'essenza specifica dell'individualità. In tali momenti non mi sono mai attardato a riflettere, ho sempre obbedito al segnale senza la minima esitazione, con la placidità di un sonnambulo.
Quale avventura limpida e irripetibile è la prima amicizia tra ragazzi! Nessun altro rapporto potrà mai eguagliare quel legame. Nessuno mi diede più, in seguito, ciò che ricevetti da questa amicizia infantile; del resto non incontrai mai più un vero amico.