Fiocchi rosa di un ciliegio in fiore oscillano tra la brezza leggera. Capriole e piroette tra il chiarore di una candela. Soffici si posano su queste candide lenzuola di seta bianca dove i nostri sensi timidamente ambiscono al frutto più squisito.
Una maglia un po' sgualcita. Un pupazzo ricucito. Uno zaino dimenticato. Animano i nostri luoghi oggetti oggi antichi, vissuti tra mani conosciute e forse ormai stanche. Sono i ricordi di un viaggio o un amore che al solo sguardo ti concedono un lungo vagare. Così vagabondi in quel passato, protagonista di quei film che forse ti sei solo inventato.
Non svelare la tua parte più cara ora che sei troppo vulnerabile. Allontanati da quelle perfide spirali avviate da giocolieri suadenti per indole attratti dai più deboli lamenti.
Voglio prendermi cura di te. Passare le notti abbracciati, respirandoci, mentre le stelle bisbigliano desideri. Aprire gli occhi e osservarti mentre teneramente mi racconti i sogni appena vissuti. Voglio affrontare con te il quotidiano, aspettarti a cena e coccolarti con quella spontaneità e semplicità che diventano poesia nella nostra accogliente dimora.
Raccontami di te. Chi sei, da dove vieni, cosa cerchi. Raccontami dei tuoi giorni passati e del futuro che ti perdi a dipingere. Persuadimi in queste ore che solleticano la pelle e risvegliano papaveri addormentati. Comunica con i miei occhi, senza veli e protezioni. Voglio sapere di te che con il tuo mistero hai sedotto la mia languida curiosità.
Comete che lasciano una scia sulla nostra esistenza. Sono quelli che arrivano e poi si perdono, scompaiono. Si scontrano con i nostri umori e le nostre passioni non sapendo prendersene cura. Come di passaggio, trattano tutto con superficialità. Ci rassicurano un po' per poi abbandonarci alla fermata di un treno che non tornerà a prenderci. E questo noi lo sappiamo ma, un po' stupidi a volte, rimaniamo lì ad aspettare.
Ce la metti tutta, tu. Tenti di afferrare quel qualcosa che ti sfugge. Ti sembra quasi facile riuscirci allunghi la mano e stringi forte ma poi ti ritrovi solo tanta aria che sfila via, come una libellula intimorita da quelle mani grandi e impertinenti. Niente tra le dita, troppo nella testa.