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Le leggi dei robot: - Legge Zero Un robot non può danneggiare l'Umanità, né può permettere che, a causa del suo mancato intervento, l'Umanità riceva danno. - Prima Legge Un robot non può recare danno agli esseri Umani, né può permettere che, a causa del suo mancato intervento, gli esseri Umani ricevano danno. - Seconda Legge Un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri Umani, a meno che ciò non contrasti con la Prima Legge. - Terza Legge Un robot deve salvaguardare la propria esistenza, a meno che ciò non contrasti con la Prima e la Seconda Legge.
Avevo l'abitudine di dire agli intervistatori che scrivevo tutti i giorni eccetto Natale, il Quattro Luglio, e il giorno del mio compleanno. La verità è che quando scrivo, scrivo tutti i giorni, fanatico o no. Ciò significa anche il giorno di Natale, il Quattro Luglio e il giorno del mio compleanno.
Lei ha riempito tutto. È l'unica ragione per la quale sono vivo. Mi guardo intorno, mi preparo per la conferenza, e capisco perché ho affrontato la neve, gli imbottigliamenti, il ghiaccio sulla strada: per ricordarmi che devo ricostruire me stesso, giorno dopo giorno, e per accettare - per la prima volta nella mia esistenza - che amo un essere umano più di me stesso.
Odiò tutto ciò che le fu possibile in quel momento. Odiò se stessa, il mondo, la sedia che le stava davanti, il termosifone rotto in uno dei corridoi, le persone perfette, i criminali. Era ricoverata in una clinica per malattie mentali e poteva provare sentimenti che gli esseri umani nascondono anche a se stessi: perché tutti siamo educati soltanto per amare, per accettare, per tentare di scovare una via d'uscita, per evitare il conflitto. Veronika odiava tutto, ma principalmente il modo in cui aveva vissuto: senza mai scoprire le centinaia di altre Veronike che dimoravano dentro di lei e che erano interessanti, folli, curiose, coraggiose, audaci.
A me piace vedere le persone riunite, forse è sciocco, ma che dire, mi piace vedere la gente che si corre incontro, mi piacciono i baci e i pianti, amo l'impazienza, le storie che la bocca non riesce a raccontare abbastanza in fretta, le orecchie che non sono abbastanza grandi, gli occhi che non abbracciano tutto il cambiamento, mi piacciono gli abbracci, la ricomposizione, la fine della mancanza di qualcuno, mi siedo in disparte con un caffè e scrivo nel diario, controllo gli orari dei voli anche se ormai li conosco a memoria, osservo e scrivo, cerco di non ricordare la vita che non volevo perdere ma che ho perduto e devo ricordare, essere qui mi riempie di gioia il cuore anche se la gioia non è mia.
"Non devi pensare che io sia infelice: non lo sarò mai più." Mi lasciò secco, quella frase. Aveva la faccia di uno che non scherzava, quando la disse. Uno che sapeva benissimo dove stava andando. E che ci sarebbe arrivato. Era come quando si sedeva al pianoforte e attaccava a suonare, non c'erano dubbi nelle sue mani, e i tasti sembravano aspettare quelle note da sempre, sembravano finiti lì per loro, e solo per loro. Sembrava che inventasse lì per lì: ma da qualche parte, nella sua testa, quelle note erano scritte da sempre. Adesso so che quel giorno Novecento aveva deciso di sedersi davanti ai tasti bianchi e neri della sua vita e di iniziare a suonare una musica assurda e geniale, complicata ma bella, la più grande di tutte. E che su quella musica avrebbe ballato quel che rimaneva dei suoi anni. E che mai più sarebbe stato infelice.
Cosa augurarti? A dire il vero, dovrei augurarti te stessa, perché tu sei il regalo più prezioso, più raro a cui possa pensare. Vorrei essere più coraggioso, per te.