Esercizio di irrobustimento dello spirito.
Nonna ci dice: "Figli di cagna!"
La gente ci dice: "Figli di una Strega! Figli di puttana!"
Altri dicono: "Imbecilli! Mascalzoni! Mocciosi! Asini! Maiali! Porci! Canaglie! Carogne! Piccoli merdosi! Pendagli da forca! Razza di assassini!"
Quando sentiamo queste parole, il nostro volto diventa rosso, le orecchie ronzano, gli occhi bruciano, le ginocchia tremano.
Non vogliamo più arrossire né tremare, vogliamo abituarci alle ingiurie e alle parole che feriscono.
Ci sistemiamo al tavolo della cucina uno di fronte all'altro e, guardandoci negli occhi, ci diciamo delle parole sempre più atroci.
Uno: "Stronzo! Buco di culo!"
L'altro: "Vaffanculo! Bastardo!"
Continuiamo così finché le parole non entrano più nel nostro cervello, non entrano nemmeno nelle nostre orecchie.
Ci esercitiamo in questo modo una mezz'ora circa ogni giorno, poi andiamo a passeggiare per le strade.
Facciamo in modo che la gente ci insulti e constatiamo che finalmente riusciamo a restare indifferenti.
Ma ci sono anche le parole antiche.
Nostra Madre ci diceva: "Tesori miei! Amori miei! Siete la mia gioia! Miei bimbi adorati!"
Quando ci ricordiamo di queste parole, i nostri occhi si riempiono di lacrime.
Queste parole dobbiamo dimenticarle, perché adesso nessuno ci dice parole simili e perché il ricordo che ne abbiamo è un peso troppo grosso da portare.
Allora ricominciamo il nostro esercizio in un altro modo:
Diciamo: "Tesori miei! Amori miei! Vi voglio bene... Non vi lascerò mai... Non vorrò bene che a voi... Sempre... Siete tutta la mia vita..."
a forza di ripeterle, le parole a poco a poco perdono il loro significato e il dolore che portano si attenua.
dal libro "Trilogia della città di K." di Agota Kristof
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