Scritta da: Luisa Marcangeli
La beneficenza, che unisce due esseri in uno solo, è una passione celeste, tanto incompresa, tanto rara quanto il vero amore. L'una e l'altro sono la prodigalità delle anime belle.
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La beneficenza, che unisce due esseri in uno solo, è una passione celeste, tanto incompresa, tanto rara quanto il vero amore. L'una e l'altro sono la prodigalità delle anime belle.
Se uno degli ascoltatori, non a scopo di contesa né per scherzare, ma seriamente dovesse rispondere, dopo aver riflettuto, a che cosa deve essere riferito questo nome, il "non essere", in riferimento a che cosa e per quale oggetto noi crediamo che egli ne farebbe uso e che cosa indicherebbe a chi lo interroga? Ma questo almeno è chiaro, che il "non essere" non deve essere riferito a qualcuno degli enti. Ma noi diciamo che, se s'intende parlare correttamente, non bisogna definirlo né come unità né come molteplicità e neppure assolutamente chiamarlo con il "lo", perché anche con questa espressione lo si designerebbe con una specie di unità.
Cose, come per esempio la grandezza, la sanità, la forza e, in una parola, della sostanza di tutte le cose, di ciò che ciascuna è. La verità di esse si contempla forse mediante il corpo o avviene che chi di noi si accinge più degli altri e con più accuratezza a pensare ciascun oggetto della sua indagine in sé, costui si avvicina il più possibile alla conoscenza dell'oggetto? E potrà farlo nel modo più puro chi si dirigerà verso ciascun oggetto, il più possibile, con il solo pensiero, senza intromettere nel pensiero la vista e senza trascinarsi dietro con il ragionamento alcun altro senso, ma utilizzando solo il puro pensiero di per se stesso, andrà a caccia di ciascuno degli enti in sé nella sua purezza, dopo essersi liberato il più possibile da occhi, orecchie e, a parlar propriamente, da tutto il corpo, perché turba l'anima e non le consente di acquistare verità e intelligenza, quando comunica con essa. Non è forse costui, Simmia, se mai altri, che coglierà l'essere? È straordinariamente vero, disse Simmia, ciò che dici, Socrate.
Dopo di ciò, la mia vita e quella di Dionigi si svolgevano più o meno così: io lì a guardar fuori, come un uccello che aspetta solo di spiccare il volo, lui lì a tentarle tutte per tenermi tranquillo, senza però nulla voler restituire delle cose di Dione. Agli occhi di tutta la Sicilia, però, ci professavamo amici.
Dimmi, o Socrate, non ti vergogni, alla tua età, di andare a caccia di parole, e, quando uno si sbaglia di una parola, di credere di aver trovato in questo una fortuna inaspettata?
Il cellario non rispose, ma il suo silenzio era abbastanza eloquente.
At enim quis reprehendet quod in parricidas res pupublicae decretum erit? Tempus dies fortuna, quoius lubido gentibus moderatur.
Mi si dirà: chi potrà biasimare quanto si sarà stabilito contro dei traditori? Le circostanze, il tempo, la sorte, il cui capriccio governa le genti.
La vita era un pasticcio della malora... Una partita di rugby con tutti fuori gioco e senza arbitro: ognuno persuaso che l'arbitro sarebbe stato dalla sua parte.