Frasi dal Libro:Trilogia della città di K.

Questo autore lo trovi anche in Racconti.
Anno:
2005
Autore:
Agota Kristof
Editore:
Einaudi

Scritta da: alterfr
Niente. Lucas continuava a lavorare. Apriva il negozio al mattino, lo chiudeva la sera. Serviva i clienti senza aprire bocca. Non parlava quasi più. Qualcuno pensava fosse muto. Venivo a trovarlo spesso, giocavamo a scacchi in silenzio. Giocava male. Non leggeva più, non scriveva più. Credo che mangiasse molto poco e che non dormisse quasi mai. Nella sua stanza la luce restava accesa tutta la notte, ma lui non c'era. Passeggiava nelle strade buie della città e nel cimitero. Diceva che il luogo ideale per dormire era la tomba di una persona amata.
dal libro "Trilogia della città di K." di Agota Kristof
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    Scritta da: alterfr
    Dico: "Certo, Mamma. Scusami, ho un sonno tremendo." Mi metto a letto e prima di addormentarmi parlo mentalmente a Lucas, come faccio da molti anni. Quello che gli dico è più o meno la stessa cosa di sempre. Gli dico che se è morto, beato lui, e che vorrei essere al suo posto. Gli dico che gli è toccata la parte migliore e che sono io a dover reggere il fardello più pesante. Gli dico che la vita è di un'inutilità totale, è nonsenso, aberrazione, sofferenza infinita, invenzione di un Non-Dio di una malvagità che supera l'immaginazione. Sarah non la rivedo più. Certe volte mi sembra di riconoscerla per strada, ma non è mai lei.
    dal libro "Trilogia della città di K." di Agota Kristof
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      Scritta da: alterfr
      Esercizio di irrobustimento dello spirito.
      Nonna ci dice: "Figli di cagna!"
      La gente ci dice: "Figli di una Strega! Figli di puttana!"
      Altri dicono: "Imbecilli! Mascalzoni! Mocciosi! Asini! Maiali! Porci! Canaglie! Carogne! Piccoli merdosi! Pendagli da forca! Razza di assassini!"
      Quando sentiamo queste parole, il nostro volto diventa rosso, le orecchie ronzano, gli occhi bruciano, le ginocchia tremano.
      Non vogliamo più arrossire né tremare, vogliamo abituarci alle ingiurie e alle parole che feriscono.
      Ci sistemiamo al tavolo della cucina uno di fronte all'altro e, guardandoci negli occhi, ci diciamo delle parole sempre più atroci.
      Uno: "Stronzo! Buco di culo!"
      L'altro: "Vaffanculo! Bastardo!"
      Continuiamo così finché le parole non entrano più nel nostro cervello, non entrano nemmeno nelle nostre orecchie.
      Ci esercitiamo in questo modo una mezz'ora circa ogni giorno, poi andiamo a passeggiare per le strade.
      Facciamo in modo che la gente ci insulti e constatiamo che finalmente riusciamo a restare indifferenti.
      Ma ci sono anche le parole antiche.
      Nostra Madre ci diceva: "Tesori miei! Amori miei! Siete la mia gioia! Miei bimbi adorati!"
      Quando ci ricordiamo di queste parole, i nostri occhi si riempiono di lacrime.
      Queste parole dobbiamo dimenticarle, perché adesso nessuno ci dice parole simili e perché il ricordo che ne abbiamo è un peso troppo grosso da portare.
      Allora ricominciamo il nostro esercizio in un altro modo:
      Diciamo: "Tesori miei! Amori miei! Vi voglio bene... Non vi lascerò mai... Non vorrò bene che a voi... Sempre... Siete tutta la mia vita..."
      a forza di ripeterle, le parole a poco a poco perdono il loro significato e il dolore che portano si attenua.
      dal libro "Trilogia della città di K." di Agota Kristof
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