Socchiudo gli occhi a Venezia
Cala il sole sulla laguna a mare.
In quanti lo avranno detto,
ad un volto vicino,
alla propria testa,
al primo che passava.
Lui continua a farlo
come noi continuiamo a dirlo,
a scriverlo,
a pensarlo.
Ed osserviamo l'arancio
il marrone
il sabbia,
che si distendono davanti a lei,
a noi.
Adesso il sole
si è fatto esagono che scompare,
spandendo la luce,
l'ultima luce,
la luce gialla,
rasa all'acqua.
Cala la sera sulle gondole stanche
che pattinano di traverso
nel loro tornare.
Ed ogni volta la stessa illusione.
Che fermino il tempo,
che fermino l'acqua.
Turisti
che si sentono viaggiatori
si lasciano andare.
Hanno negli occhi
il giorno trascorso
e pensano già
a quando ritornare.
Fra un po' i neri docili animali di legni
si culleranno aspettando domani,
coperti da un telo azzurro
o nudi all'aria di notte.
Sta seduto sull'ultimo muretto all'acqua
l'annoiato perdigiorno.
Adesso che un altro giorno è perso
fuma lentamente
sputa tabacco alla nebbia.
-Io ti aspettavo -
dice muto alla "Vespucci"
quell'umile antico palo,
dritto in acqua,
pieno di rughe e tagli
che è sempre il primo a salutare
la nave nera
che a Venezia si fa
gondola madre.
Intanto è vivo quel lampione,
l'ultimo,
alla punta d'acqua.
Quello all'arsenale,
quello che poi è laguna
come se fosse il mare.
Illumina l'ultimo abbraccio
di chi si lascia
o si fa promesse
ed una coppia che mano nella mano
passa sul ponte bianco
e torna a casa per la cena.
Composta lunedì 19 maggio 2014
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