Era più di quanto fossi abituato, eppure mi resi conto che non era abbastanza. Non ero soddisfatto. Stare vicino a lei mi faceva solo desiderare di esserlo ancora di più. Più mi avvicinavo più il richiamo diventava più forte. L'avevo accusata di essere una calamita per le catastrofi. Proprio ora, sembrò letteralmente la verità. Io ero il pericolo, e la sua attrazione cresceva in forza, per ogni centimetro che mi permettevo di avvicinarmi. E poi il professor Banner spense le luci. Fu strano che provocò molta differenza, considerando che la mancanza di luce significava poco per i miei occhi. Potevo vedere perfettamente come prima. Era chiaro ogni dettaglio della stanza. Allora perché l'improvvisa scossa di elettricità nell'aria, nel buio che per me non era poi così buio? Era perché sapevo che ero l'unico a poter vedere chiaramente? Che sia io che Bella eravamo invisibili per gli altri? Come fossimo soli, soltanto noi due, nascosti nella stanza buia, seduti così vicini l'una all'altro... Ritirai la mia mano con violenza, incrociando le braccia strette sopra il mio petto e tenendo chiuse le mani. Niente errori. Mi ero promesso che non avrei fatto sbagli, non importa quanto sembrassero minuscoli. Se le avessi tenuto la mano, avrei voluto molto di più, un altro insignificante tocco, un altro movimento per avvicinarmi a lei. Non potevo provare quelle sensazioni. Un nuovo tipo di desiderio crebbe in me, tentando di dominare il mio controllo. Nessuno sbaglio.
Bella mi lanciò un'occhiata. Si accorse della posizione rigida del mio corpo – proprio come il suo – e sorrise. Le sue labbra si divisero leggermente, e i suoi occhi sembrarono pieni di caldi inviti. O forse vedevo ciò che desideravo vedere. Sorrisi di rimando; il suo respiro s'impigliò in un basso ansimo e spostò velocemente lo sguardo. Fu peggio. Non conoscevo i suoi pensieri, ma fui all'improvviso sicuro di aver avuto ragione prima, e che lei voleva che la toccassi. Sentiva come me questo pericoloso desiderio.
Sbirciai di nuovo verso di lui, e me ne pentii. Mi stava di nuovo squadrando, con gli occhi neri pieni di disprezzo. Mentre mi ritraevo, stretta nella sedia, improvvisamente pensai a quel modo di dire: se gli sguardi potessero uccidere... In quel momento la campana prese a squillare, io sobbalzai ed Edward Cullen si alzò dal suo posto con un movimento fluido - era molto più alto di quanto avessi immaginato - dandomi le spalle, e prima che chiunque altro avesse lasciato la sedia era già fuori dalla classe. Io rimasi pietrificata al mio posto, incredula, a guardarlo. Che cattivo. Non era giusto. Iniziai a raccogliere le mie cose lentamente, cercando di arginare la rabbia che mi aveva presa, per non mettermi a piangere. Per qualche motivo, il mio umore e i miei occhi erano legati a doppio filo. Di solito, quando ero arrabbiata piangevo, una reazione umiliante.
Ero eccitata all'idea di andare a scuola e la cosa mi spaventava. Sapevo bene che il merito non era dell'ambiente educativo stimolante o dei miei nuovi amici. Inutile raccontarsi storie, ero in agitazione perché sapevo che avrei incontrato Edward Cullen. E ciò era molto, molto stupido.
Nell'istante dopo, mi sentii improvvisamente e perfettamente irritato. Poiché la storia di Angela non doveva essere tragica. Lei era umana e lui era umano e la differenza tra di loro, così insormontabile nella sua mente, era ridicola, veramente ridicola in confronto alla nostra situazione. Non vi era senso per il suo cuore spezzato. Quanta tristezza sprecata, quando non vi era una valida ragione per lei di stare con chi voleva. Perché non avrebbe potuto avere ciò che desiderava? Perché la sua storia non avrebbe dovuto avere un lieto fine?