Non ho ricordi di sguardi profondi né di baci immensi, non ho ricordi di feste proibite né di gente appassionante... Il mio unico ricordo sei tu, il tuo profumo d'inverno e sigarette, i tuoi occhi azzurri, le tue braccia che mi tengono. Perciò perdonami, perdonami davvero, se mi sono innamorata del tuo ricordo e se la mia testa non è fatta che di te.
Veniva continuamente sopraffatta dal dubbio che il treno stesse andando all'indietro o in avanti o fosse fermo. Era Annuška quella che stava accanto a lei? O era un'estranea? "Cos'è quella cosa sul bracciolo, una pelliccia o un animale? E io chi sono, sono io o sono un'altra?"
Anna Arkad'evna leggeva e comprendeva, ma non le faceva piacere leggere, cioè seguire il riflesso della vita altrui. Aveva troppa voglia di vivere lei stessa.
Era come se tutte quelle tracce del suo passato lo avessero afferrato dicendogli: "No, non ci lascerai, non diventerai un'altra persona, resterai quello che eri: coi tuoi dubbi, con la continua insoddisfazione personale, coi vani tentativi di correggerti, con le cadute e l'eterna attesa della felicità che non ti è stata data e che per te non è possibile".
Per Kity ogni cosa, il ballo, il mondo intero, si coprì di nebbia. Solo la dura scuola a cui era stata educata le consentiva di trattenersi e la costringeva a fare quello che si pretendeva da lei, cioè ballare, rispondere alle domande, parlare e persino sorridere.
Ancora molti anni dopo, ripensando a quello sguardo pieno d'amore con cui lei l'aveva guardato e a cui lui non aveva dato risposta, il suo cuore sarebbe stato trafitto da una tormentosa vergogna.
Anche solo quello sguardo, involontariamente radioso, era bastato a far comprendere a Levin che lei amava quell'uomo, a farglielo capire come se lei stessa glielo avesse detto.