Nel nostro gruppo è diverso il tipo di libertà che arriva attraverso la droga. Noi non abbiamo bisogno del Sound per farci rintronare con la musica ad altissimo volume. Per quelli del nostro gruppo è proprio il colmo farsi il trip della libertà sotto lo sbriluccichio delle reclame del Kurfurstendamm. Noi tutti odiamo la città. Siamo nel trip della natura totale. Il fine settimana giriamo per tutto lo Schleswig - Holstein in macchina e poi a un certo punto camminiamo a piedi finché non troviamo un posto assolutamente figo. Andiamo spesso nel moor, in posti dove garantito non ci arriva nessuno. Ma la cosa più fantastica è la nostra cava di calce. Un buco pazzesco in mezzo al paesaggio. Lungo quasi un chilometro, largo trecento metri e profondo cento. Le pareti sono perpendicolari. Lì sotto è molto caldo. Non c'è vento. Ci crescono le piante che non ho mai visto altrove. E dei ruscelli chiarissimi scorrono in questa valle pazzesca. Dalle pareti scendono cascate. L'acqua colora le pareti di rosso ruggine. Dappertutto ci sono dei macigni bianchi che sembrano ossa di animali preistorici e forse sono proprio delle ossa di mammuth. Le enormi scavatrici e i carrelli di trasporto, che di giorno fanno un rumore che nevrotizza, durante il fine settimana sembrano come inadoperati da secoli. La calce li ha resi completamente bianchi già da un sacco di tempo. Siamo completamente soli in questa valle della follia. Le pareti perpendicolari di calce ci separano tutt'intorno dal resto del mondo. Da fuori non arriva nessun rumore. L'unico rumore lo fanno le cascatelle. Noi ci immaginiamo di comprarci la cava di calce quando non verrà più sfruttata. E lì sotto ci vogliamo costruire delle case di legno con un enorme giardino pieno di animali e con tutto quello di cui uno ha bisogno per vivere. L'unica strada che c'è per arrivare alla cava la vogliamo chiudere. Non avremmo comunque più alcuna voglia di ritornare su.
Un giorno, ero già avanti negli anni, in una hall mi è venuto incontro un uomo. Si è presentato e mi ha detto: "La conosco da sempre. Tutti dicono che da giovane lei era bella, io sono venuto a dirle che la trovo più bella ora, preferisco il suo volto devastato a quello che aveva da giovane". Penso spesso a un'immagine che solo io vedo ancora e di cui non ho mai parlato. È sempre lì, fasciata di silenzio, e mi meraviglia. La prediligo fra tutte, in lei mi riconosco, m'incanto.
Anni e anni dopo la guerra, dopo i matrimoni, i figli, i divorzi, i libri, era venuto a Parigi con la moglie. Le aveva telefonato. Sono io. Lei l'aveva riconosciuto dalla voce. Le aveva detto: volevo solo sentire la tua voce. Lei aveva detto: ciao, sono io. Era intimidito, aveva paura come prima, la voce improvvisamente gli tremava e in quel tremito, improvvisamente, lei aveva ritrovato l'accento cinese. Lui sapeva che lei aveva cominciato a scrivere libri, l'aveva saputo dalla madre incontrata a Saigon. Sapeva anche del fratello piccolo, disse che ne aveva sofferto pensando a lei. E poi sembrava che non avesse altro da dire. Ma poi glielo aveva detto. Le aveva detto che era come prima, che l'amava ancora, che non avrebbe potuto mai smettere d'amarla, che l'avrebbe amata fino alla morte.
Anche lei, quando la nave aveva lanciato il primo addio, quando era stata tolta la passerella e i rimorchiatori avevano cominciato a trainarla, ad allontanarla dalla terra, aveva pianto. Lo aveva fatto nascondendo le lacrime, perché lui era cinese e non si doveva piangere quel genere di amanti, nascondendo alla madre e al fratellino il suo dolore, senza lasciar trasparire niente, come erano abituati a fare tra di loro. La grossa automobile era lì, lunga e nera, con l'autista vestito di bianco al volante. Era un po' in disparte dal parcheggio delle Messaggerie Marittime, isolata. L'aveva riconosciuta da questo. Era lui sul sedile posteriore, quella forma appena visibile, immobile, abbattuta. Lei stava appoggiata al parapetto. Come sul traghetto, la prima volta, sapeva che la stava guardando. Anche lei lo guardava, non lo vedeva più ma continuava a guardare verso la forma dell'automobile nera. E poi alla fine non l'aveva più vista. Era sparito il porto e poi la terra.
L'amore insensato che provo per lui rimane per me un insondabile mistero. Non so perché lo amassi al punto di voler morire della sua morte. Ero lontana da lui da dieci anni quando è successo e pensavo a lui solo di rado. Come se lo amassi per sempre e niente di nuovo potesse succedere a questo amore. Avevo dimenticato la morte.
Muore in un giorno tetro. Credo fosse in primavera, in aprile. Mi chiamano al telefono. Mi dicono solo che è stato trovato morto, per terra, nella sua camera. Ma la morte per lui era arrivata in anticipo, molto prima che la sua storia finisse. Era già successo mentre era in vita, ormai era troppo tardi perché potesse morire, era morto quando era morto il fratello minore. Era soggiaciuto a due parole: consummatum est. Mia madre aveva chiesto che quel figlio fosse sepolto accanto a lei. Non so più dove, in un cimitero nella regione della Loira. Sono tutti e due nella stessa tomba. Loro due soli. È giusto che sia così. È un'immagine splendida e intollerabile.
Il segreto consisteva nel sapere che la sua vera natura viveva, perfetta come un numero non scritto, contemporaneamente dappertutto, nello spazio e nel tempo.
Ed egli imparò a volare, e non si rammaricava per il prezzo che aveva dovuto pagare. Scoprì che erano la noia e la paura e la rabbia a rendere così breve la vita di un gabbiano.