È stata la prima volta che ho amato qualcuno. L'amore è amore, a qualsiasi età, e sapevo che se ti avessi lasciato abbastanza tempo, saresti tornato da me.
Theresa lo interruppe stringendogli la mano. "Sono convinta che ci credi davvero, e anche una parte di me vorrebbe crederlo. Se adesso mi abbracciassi e mi implorassi di restare, sono sicura che lo farei, perché hai portato nella mia vita qualcosa che mi mancava da tempo. E continueremmo entrmbi in questo modo, convinti che tutto vada bene... ma non sarebbe così, non capisci? Perché al prossimo litigio..." Si fermò. "Non posso competere con lei. E per quanto desideri che la nostra storia continui, non posso permetterlo, perché tu non lo permetteresti."
Era venuto il momento di guardare al futuro, i muri che aveva costruito intorno a sé avevano incominciato a crollare. Theresa aveva pianto quasi tutta la notte, ma il mattino successivo sapeva che cosa doveva fare.
Dopotutto, ognuno di noi vive isolato, anche i più grandi amanti non sono mai completamente insieme. C'è sempre un momento, in ogni relazione, in cui uno dei due è più innamorato dell'altro, o più maturo, o più presente.
Avrebbe preferito che tutto questo non fosse successo. Invece, le cose succedono. Si dicono parole che lasciano dietro conseguenze e significati. Si fanno gesti che possono ferire, per volontà espressa o per leggerezza. O per il semplice timore di essere feriti.
Ma il coraggio è anche questo. La consapevolezza che l'insuccesso fosse comunque il frutto di un tentativo. Che talvolta è meglio perdersi sulla strada di un viaggio impossibile che non partite mai.
Si baciarono e le loro labbra si unirono nel timore e non nell'amore, in quel loro primo bacio. Era il timore che non fosse vero niente, che fosse la disperazione a pronunciare il nome della tenerezza, che fosse la solitudine a dare una voce diversa alle parole, che niente fosse come sembrava.
Appoggiò la testa alla sua spalla e rimase a odorare e adorare quel piccolo miracolo rappresentato dalla propria pelle contro quella di lui. Le piaceva immaginare che qualcuno, forse una alchimista geniale e ruffiano, avesse fabbricato di proposito le loro epidermidi con elementi fatti apposta per funzionare l'uno da richiamo per l'altro.
"Dov'eri finita?" "Da nessuna parte." "Da nessuna parte? E con chi eri?" "Una compagna." "E chi è?" "Marta." "Perché non mi hai risposto?" "Non potevo." "Che vuol dire" non potevo "?" "Ero alle prove teatrali." "Alle prove di che?" "Non ho fatto niente di male." "E non potevi avvertirmi?" "La mamma di Marta disegna e cuce costumi splendidi." "Perché non mi hai avvertito?" "Non volevo che rovinassi tutto. Perché se n'è andato?" "Non lo so." "Non lo sai? Nessuno sa mai niente!" "Ho provato a chiamarlo... Nulla." "Dimmi la verità." "Non mi ama più." "E tu? Lo ami ancora?" "Si." "Allora perché lo hai fatto andar via?" "Non mi ha chiesto il permesso..." "Non lo amavi abbastanza. Se uno ha un tesoro, non lo perde. Se lo tiene stretto a tutti i costi: è questione di vita o di morte."
Perché c'era qualcosa, tra quei due, qualcosa che in verità doveva essere un segreto, o qualcosa di simile. Così era difficile capire ciò che si dicevano e come vivevano, e com'erano. Ci si sarebbe potuti sfarinare il cervello a cercar di dare un senso a certi loro gesti. E ci si poteva chiedere perché per anni e anni. L'unica cosa che spesso risultava evidente, anzi quasi sempre, e forse per sempre, l'unica cosa era che in quel che facevano e in quello che dicevano e in quello che erano c'era qualcosa - per così dire - di bello. Non ci si capiva quasi niente, ma almeno quello lo si capiva.