- È normale che le persone cerchino di etichettarti, lo fanno per paura. Ti temono perché non riescono a definirti. - È questo che non capisco, io non voglio essere etichettata, chiedo troppo? - No, ma non sempre è possibile, non sempre si ha questa possibilità. - In che senso? - Voglio dire che se sei una tigre ma ti comporti come un gattino ben venga, ma sarai sempre e comunque una tigre. E questo le persone lo sanno. Non puoi convincerle che sei un gattino. E contemporaneamente le altre tigri ti guarderanno con sospetto. - Ma se la tigre non dilania gli altri gatti con i suoi morsi, allora che bisogno c'è di temerla? - Non lo so. Dimmelo tu. - Nessuno. Una tigre che non morde non deve far paura. Sorrise. - e sei così sicura che da un momento all'altro non ricomincerà a mordere?
Se da un lato le mie difficoltà - il mio "autoesilio" - mi avevano fatto scoprire sfaccettature importanti di me stesso, dall'altro avevano prodotto un effetto collaterale deleterio: la solitudine era diventata un vizio. Il mio universo si era ristretto ai pochi amici che vivevano su quei monti, alle lunghe risposte a lettere ed e-mail e all'illusione che "tutto il resto del tempo mi appartenesse". Insomma, vivevo un'esistenza priva dei normali problemi derivanti dalla frequentazione degli altri, scevra di ogni contatto umano.
Era l'unico che la conoscesse veramente e potesse fecondarla con lo sguardo, con la sua sola esistenza. Senza di lui lei semplicemente non esisteva, non aveva vita, quindi era sua, di diritto.
La cosa divertente è che quando la gente ti definisce "timida" di solito sorride. Come se fosse una cosa carina, un'abitudine buffa che perderai crescendo, come i buchi nel sorriso quando ti cadono i denti da latte. Se sapessero come ci si sente - a essere timidi, non soltanto insicuri - non sorriderebbero. No, se sapessero cosa vuol dire avere un nodo allo stomaco o le mani sudate, oppure perdere la capacità di dire qualcosa di sensato. Non è affatto carino.