Scritta da: Maria Antonietta D'onofrio
Sognare è un fatto nuovo per me che i sogni li ho sempre lasciati a chi se li poteva permettere, insieme alle lacrime. Perché dalla vita, non si può pretendere il tempo per piangere.Commenta
Sognare è un fatto nuovo per me che i sogni li ho sempre lasciati a chi se li poteva permettere, insieme alle lacrime. Perché dalla vita, non si può pretendere il tempo per piangere.Commenta
Amico è chi ama e abbraccia i tuoi pensieri cupi, più dei tuoi sorrisi, è chi accarezza la tua tristezza, più della tua felicità, è chi è presente anche quando sei perdutamente assente.
Non sei il lavoro che fai ma il lavoro che fai ti permetterà di diventare ciò che sei.
Una volta, una signora anziana mi disse: non si muore di sofferenze, ci si convive e prima o poi si affievoliscono, le mettiamo da parte, in un piccolo angolo della nostra mente, in modo da non soffrirne sempre, ma tornano ogni tanto quando qualcosa le fa riemergere. Parole sante dette da chi ha trascorso una vita di esperienze buone e cattive, un bagaglio di verità che si tramanda di uomo in uomo, non c'è persona che non soffra per qualsiasi motivo o che sia felice. Io penso che chi è troppo sensibile, per natura, è sottoposto a soffrire più degli altri, ma ha la grande capacità di dare e ricevere amore senza riserve; al contrario chi possiede quella strana maschera di persona fredda e calcolatrice, non amerà mai nessuno completamente, ma vagherà sempre nel limbo senza sapere quale strada deve prendere per essere felice, e non ci sarà mai pace per certe persone, perché vagheranno sempre alla ricerca di non si sa cosa, neanche loro lo sanno.
Ho ritrovato una fotografia di mio figlio ventenne.
È in California con le amiche Erica ed Elisabeth Lennard.
È magrissimo, sembra un ugandese, però bianco anche lui. Trovo che ha un sorriso arrogante, un'aria di scherno.
Vuol dare l'impressione trasandata di un giovane vagabondo. Si piace così, povero, con l'aria da povero, la goffaggine di un ragazzo magro.
È la fotografia che si avvicina di più a quella, mai scattata, della ragazza del traghetto.
Un giorno, ero già avanti negli anni, in una hall mi è venuto incontro un uomo.
Si è presentato e mi ha detto: "La conosco da sempre. Tutti dicono che da giovane lei era bella, io sono venuto a dirle che la trovo più bella ora, preferisco il suo volto devastato a quello che aveva da giovane".
Penso spesso a un'immagine che solo io vedo ancora e di cui non ho mai parlato.
È sempre lì, fasciata di silenzio, e mi meraviglia. La prediligo fra tutte, in lei mi riconosco, m'incanto.
Anni e anni dopo la guerra, dopo i matrimoni, i figli, i divorzi, i libri, era venuto a Parigi con la moglie.
Le aveva telefonato. Sono io. Lei l'aveva riconosciuto dalla voce. Le aveva detto: volevo solo sentire la tua voce. Lei aveva detto: ciao, sono io.
Era intimidito, aveva paura come prima, la voce improvvisamente gli tremava e in quel tremito, improvvisamente, lei aveva ritrovato l'accento cinese.
Lui sapeva che lei aveva cominciato a scrivere libri, l'aveva saputo dalla madre incontrata a Saigon. Sapeva anche del fratello piccolo, disse che ne aveva sofferto pensando a lei.
E poi sembrava che non avesse altro da dire. Ma poi glielo aveva detto.
Le aveva detto che era come prima, che l'amava ancora, che non avrebbe potuto mai smettere d'amarla, che l'avrebbe amata fino alla morte.
Anche lei, quando la nave aveva lanciato il primo addio, quando era stata tolta la passerella e i rimorchiatori avevano cominciato a trainarla, ad allontanarla dalla terra, aveva pianto.
Lo aveva fatto nascondendo le lacrime, perché lui era cinese e non si doveva piangere quel genere di amanti, nascondendo alla madre e al fratellino il suo dolore, senza lasciar trasparire niente, come erano abituati a fare tra di loro.
La grossa automobile era lì, lunga e nera, con l'autista vestito di bianco al volante. Era un po' in disparte dal parcheggio delle Messaggerie Marittime, isolata.
L'aveva riconosciuta da questo.
Era lui sul sedile posteriore, quella forma appena visibile, immobile, abbattuta. Lei stava appoggiata al parapetto.
Come sul traghetto, la prima volta, sapeva che la stava guardando. Anche lei lo guardava, non lo vedeva più ma continuava a guardare verso la forma dell'automobile nera.
E poi alla fine non l'aveva più vista. Era sparito il porto e poi la terra.
L'amore insensato che provo per lui rimane per me un insondabile mistero.
Non so perché lo amassi al punto di voler morire della sua morte.
Ero lontana da lui da dieci anni quando è successo e pensavo a lui solo di rado.
Come se lo amassi per sempre e niente di nuovo potesse succedere a questo amore.
Avevo dimenticato la morte.