Il suo ricordo mi ferisce, ma c'è, è presente, torna nella mia testa con un flash back, come quando cammini per strada e ti arriva un profumo nel naso, uno che conosci, che ti dà un ricordo allora rimani ferma e lo assapori fino infondo, lasciando che la testa raggiunga i ricordi della persona che lo indossava, che era con te l'ultima volta che lo hai trovato nell'aria. Poi svanisce, e con un sorriso malinconico ricominci a passeggiare.
Quando la mattina mi sveglio, ho fatto l'abitudine a non vedere nessuna figura maschile prendere il caffè in cucina; secondo me lui beveva il caffè, anzi sicuramente, ne sono convinta perché a me il caffè fa schifo. Fa vomitare.
Mi sto accorgendo sempre più, che non riesco neanche più a pronunciare il suo nome, resta in quel pronome, voglio proteggere il suo ricordo, vorrei tenerlo per me, donarlo al mondo è un gesto d'amore che non sono pronta a fare.
Ho vent'anni, sono bella, intelligente e dinanzi a me vedo paura e buco nero, con il rischio di finire con un lavoro che abbia come sfondo il contratto a tempo determinato.
Se c'era una cosa che non sopportavo nella mia vita erano i pregiudizi; tenersi attaccato addosso un'etichetta non è un segno di riconoscimento, ma di sottomissione.
Rimandare la storia fra me e Daiana rappresentava per me il problema più serio, perché se è vero che quello che tralasci torna sempre, io mi preoccupavo di pensare: “Ma quando tornerà lei con quanta forza arriverà?”
Spesso nei pochi anni che avevo vissuto mi era capitato che una frase di un libro, di una canzone, o di una poesia, raccontasse, o rispecchiasse in modo limpido, la mia vita; era come se narrasse una storia mia, o riuscisse a leggere il mio pensiero. Quando succedeva, ogni volta in me partiva un film, in cui quella canzone era la colonna sonora, o quel libro era il narratore; così mi veniva spontaneo un mezzo sorriso e mi perdevo nei miei ricordi.