Scritta da: Elena93
La vera solitudine è in un luogo che vive per sé e che per voi non ha traccia né voce e dove dunque l'estraneo siete voi.
dal libro "Uno, nessuno e centomila" di Luigi Pirandello
La vera solitudine è in un luogo che vive per sé e che per voi non ha traccia né voce e dove dunque l'estraneo siete voi.
Ma quando ti viene quella voglia pazzesca di piangere, che proprio ti strizza tutto, che non la riesci a fermare, allora non c'è verso di spiccicare una sola parola, non esce più niente, ti torna tutto indietro, tutto dentro, ingoiato da quei dannati singhiozzi, naufragato nel silenzio di quelle stupide lacrime. Maledizione. Con tutto quello che uno vorrebbe dire... e invece niente, non esce fuori niente. Si può essere fatti peggio di così?
A volte mi chiedo se la realtà esiste davvero, se c'è veramente una natura delle cose, obiettiva e intatta. O se tutto ciò che ci accade è già modificato in anticipo dalla nostra immaginazione. Se sognando qualcosa gli diamo vita.
E mi rivolge un sorprendente mezzo sorriso guardandomi da sotto le sopracciglia, quasi vedesse davvero me, me al di là di questo corpo, e gli piacesse quello che vede. Ma non è possibile.
I morti erano disposti in fila al centro dela Sala. Harry non vedeva il corpo di Fred, perché era circondato dalla sua famiglia. George era inginocchiato vicino alla testa; la signora Weasley era accasciata sul petto del figlio, scossa dai singhiozzi. Il signor Weasley le accarezzava i capelli e aveva le guance inondate di lacrime.
Senza dire una parola, Hermione andò da Ginny, che aveva il volto gonfio e arrossato, per abbracciarla; Ron raggiunse Bill, Fleur e Percy, che gli gettò un braccio intorno alle spalle. Ginny e Hermione si avvicinarono al resto della famiglia e Harry vide i corpi distesi accanto a quello di Fred: Remus e Tonks, pallidi e immobili, sembravano tranquilli, addormentati sotto il buio soffitto incantato.
La Sala Grande parve volar via, rimpicciolire, restringersi. Harry indietreggiò oltre la soglia. Non riusciva a respirare. Non ce la faceva a guardare gli altri cadaveri, a scoprire chi altri era morto per lui.
Silente: "Tu sei il padrone della Morte, perché il vero padrone non cerca di fuggirla. Egli accetta il fatto di dover morire, ed è consapevole che ci sono cose, molto, molto peggiori al mondo che cessare di vivere".
Non riusciva più a controllare il proprio tremito. Non era poi tanto facile morire. Ogni secondo che respirava, l'odore dell'erba, l'aria fresca sul viso, era tutto così prezioso: pensare che altri avevano anni e anni, tempo da perdere, tanto tempo che non passava mai, e lui si aggrappava a ogni singolo istante. Pensò che non sarebbe riuscito a continuare e nello stesso tempo seppe che doveva. La lunga partita era finita, il Boccino era stato preso, era ora di lasciare il campo...
Il Boccino. Con le dita intorpidite, trafficò per un momento con la saccoccia che portava al collo e lo tirò fuori.
Mi apro alla chiusura.
Lo fissò, con il respiro affannato. Adesso che voleva che il tempo che il tempo si muovesse il più lentamente possibile, ecco che accelerava, e l'intuizione sembrò arrivare più veloce del pensiero. Era questo il momento.
Premette il metallo contro le labbra e sussurrò: "Sto per morire".
Il guscio dorato si spezzò. Lui alzò la mano tremante, levò la bacchetta di Draco sotto il Mantello e mormorò: "Lumos".
La pietra nera con la crepa al centro era posata nel Boccino.
Dentro, da qualche parte nel basso ventre, covava una roba che lo faceva stare di merda. Una di quelle robe che ti consumano piano piano, che ti ammalano come un morbo dalla lenta incubazione, e di cui non puoi parlare a nessuno perché se per caso sputi il rospo ti crolla in testa tutto il teatrino del cazzo.
Perché c'era qualcosa, tra quei due, qualcosa che in verità doveva essere un segreto, o qualcosa di simile.
Così era difficile capire ciò che si dicevano e come vivevano, e com'erano.
Ci si sarebbe potuti sfarinare il cervello a cercar di dare un senso a certi loro gesti. E ci si poteva chiedere perché per anni e anni. L'unica cosa che spesso risultava evidente, anzi quasi sempre, e forse sempre, l'unica cosa era che in quel che facevano e in quello che erano c'era qualcosa - per così dire - di bello.
E assolutamente in silenzio, iniziò a piangere in quel modo che è un modo bellissimo, un segreto di pochi, piangono solo con gli occhi, come bicchieri fino all'orlo di tristezza, e impassibili mentre quella goccia di troppo alla fine li vince e scivola giù dai bordi, seguita poi da mille altre, e immobili se ne stanno lì mentre gli cola addosso la loro minuta disfatta.