In orgoglioso rispetto e silente "parola" invito tutti a questa riflessione.
A tutte le persone che oggi non trovano, dentro le proprie carni, modo di estinguere "quel fuoco" che brucia i visceri e consuma dal dolore e dalla disperazione, piangendo sulla bara del proprio figlio/a, marito, compagno, conoscente, parente; a tutti voi: imparate quel processo difficilissimo che ci rende così legati alla "materia corpo" dei nostri cari cambiando, per un attimo prospettiva.
Il corpo altro non è che un involucro attraverso il quale differenziarci l'uno dall'altro. (Questo è un mezzo convenzionale per l'umanità, indispensabile sin quando popoleremo questa terra, ma non è il fine! Quest'ultimo deve essere il più nobile di tutti; l'amore che ognuno porta dentro sé e che si deve imparare a gestire in maniera nuova, diversa anche con grande sofferenza iniziale).
L'amore riposto in esso non va "all'involucro" che ci identifica e ci permette di innamorarci, riconoscerci, amarci, odiarci, pensarci, bensì a ciò che ci sta dentro e che anche la scienza riconosce; "energia pura"... siamo energia; c'è chi la chiama anima, spirito, ect... non importa, ma dobbiamo imparare che "quella" ci accompagnerà sempre e si manifesterà in ogni istante: basta saper cambiare prospettiva e saper tradurre il dolore in altra "energia" per entrare in contatto e assonanza con quest'ultima.
Bisogna "credere" che, da sempre, il mezzo con cui l'uomo riconosce se stesso e gli altri è per mezzo della materia; questa ci rende capaci di identificare nostro figlio da un nostro conoscente o marito, ci permette di riporre in essa "l'affezione" che ci permette di amare in diverso modo ogni essere umano generato, per forza di cose da un altro suo simile.
Adesso; per un attimo, in religioso silenzio e rispetto cerchiamo di pensare che: poteva capitare a chiunque, potevano essere i nostri "morti" e non quelli degli altri; come purtroppo, spesso, siamo abituati a pensare che eventi come "quelli dell'Abruzzo" siano lontani, in fondo, e che in qualche modo non siamo noi a soffrire, non è il nostro figlio a non esserci più, non è il nostro compagno che lotta tra la vita e la morte, no, no... queste sono le sofferenze degli altri, lontane, viste o sentite dietro un televisore magari seduti comodamente al caldo nel tepore delle nostre case o in compagnia dei nostri affetti poiché, per istinto di conservazione della specie siamo abituati a scalciare o rimandare "il dolore" che una tragedia, come quella appresa, comporta ma dobbiamo sapere che, invece, può succedere a chiunque, anche a noi che ci crediamo immuni e invincibili. Riflettiamo e, se possiamo, diamo nel nostro piccolo il massimo contributo ad alleviare il dolore dei nostri fratelli in qualsiasi modo e forma che sia denaro, vestiti, ospitalità o il solo accendere delle candeline agli angioletti e a tutte le persone che non ci sono più in occasione "del mistero dei misteri dell'umanità"; la morte.
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