Che non so amarti, dici.
Ma chiedilo al tremore delle mani
quando si fanno nido alla tua nuca,
chiedilo alle radici delle vene
quando m'ami, al mio cuore che boccheggia
spingendo la sua punta palpitante
fra i cerchi delle costole di pietra.
Chiedilo ai giorni, quando ne raccolgo
in ginocchio i frantumi,
se anch'essi non inneggiano al tuo nome!
Tu non mi lasceresti così sola,
con l'anima accecata e senza voce
come una grotta occlusa
o un delta disertato dai suoi fiumi.
Tu non mi lasceresti qui delusa
mentre la sera taglia
dai vetri oblique croci
che si spezzano ai muri, mentre attendo
e incarto l'ore in futili menzogne.
T'aspetterò, tutt'una con la casa,
insieme impallidendo a poco a poco;
non vorrò, a lungo, accendere la luce:
preparerò la tavola a tentoni
scegliendo la tovaglia preferita
né scorderò gli anemoni.
Poi ghiaccia siederò, l'anima in fiamme,
un libro in mano, chiuso.
Finché vedrò i lampioni
mettere tutti insieme gli orecchini.
Quanto allora avrò atteso, potrà dirti
– se tu venga! – il rimorso della sveglia.
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