La parola che ho in mente oggi è canadese. Mi riferisco a una di quelle tende che si portano in campeggio e si montano con un niente, una di quelle case portatili dove si può tirare la cerniera e chiudersi dentro. Ce l'ho in mente perché certe volte noi uomini assomigliamo proprio a delle tende canadesi. Ci chiudiamo nella nostra piccola tenda e ci portiamo dentro le nostre abitudini, i nostri valori, le nostre etichette, i nostri pregiudizi, le marche di merendine, la frutta prima o dopo i pasti, gay si o gay no, Il bianco è meglio del nero, un vestito blu non lo comprerò mai. Ed evitiamo il confronto, lo scambio. Precludendoci il gusto dell'altro, del diverso. Diventiamo paladini del nostro piccolo mondo, stando bene attenti a difenderne i confini. E viviamo così, ingabbiati nelle nostre credenze, sentendoci spesso nel giusto perché convinti di agire per un fine nobile: il nostro equilibrio personale, il nostro benessere. Ma l'equilibrio che sfugge il confronto, che ha paura dello scambio può definirsi equilibrio? Il benessere deve implicare l'isolamento? Quanto è labile il confine tra autopreservazione e ottusità? È un confine sottilissimo, spesso impercettibile e allora apriamo la cerniera.
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