È come picchiare forte la testa a terra, il cervello viene sballottato e urta le pareti interne del cranio rimanendo leso in modo permanente. È così che mi sento, ho il cervello che da qualche parte non è sviluppato oppure lo è troppo, chissà. E chissà quanti inverni ancora dovranno passare prima che ciò succeda, quanto dovranno lavorare ancora le mie mani? E i miei occhi? Si stancheranno mai delle prodezze e teatri di vita che si manifesteranno dinnanzi a me? Non lo so, non lo voglio sapere, ma lo voglio. È come un circo, lo spettacolo sfila davanti e nella tua mente, puttane dell'est comprate e vendute, bottiglie vuote abbandonate in parchi naturali protetti. E se questo diventasse arte? Vorrà dire che ce l'ho fatta, se diventasse arte e la mia perversa malattia sarebbe di tutti gli incompresi che cercheranno di captare un qualcosa nei miei mal pensati messaggi fisico-matematici. E se fosse vero? Dio quante domande stasera. Troppe vero? Ho bisogno della montagna e dei suoi boschi, della sua aria e della sua gente. Voglio stare solo quando sarà il momento, tanto lei non ci sarà. Penso che sarebbe bello se potesse poi vedere nei miei occhi, nel mio spirito ciò che ho visto e provato, come se fosse stata lì in quegli attimi di pura vita. Ma che ne vuole sapere lei che forse ne sa più di me. Amore mio, che ne vuoi sapere tu di quello che sono io e di perché ora piango come un bambino? Che ne vuoi sapere tu? Mi manchi allegria.
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