Mi fa bene tornare alla semplicità dei pensieri.
Spolvero le parole dal delirio ed incollo le mie mille essenze che erano rovinate sul pavimento dell'ossessione, cocci di vasi emozionali infinitamente sminuzzati ed io che fluivo senza argini, incontenibile, incontentabile.
È il mio non stare, non esserci che fa da guida alle azioni, sospesa, statica, per quanto in movimento, traballante, incauta, per quanto ricerchi ausili di fortuna e stampelle coraggiose sulle quali far peso nell'andatura sbilenca di gambe troppo fragili per reggersi dritte e senza supporto alcuno. Mi fisso sulla mia schiena, rendendomi compagna di passeggiate. Mi sto dietro, a distanza di sicurezza, curiosa di scorgere le traiettorie che intraprenderò con questo mio incedere insicuro che farebbe accorrere chiunque a sorreggermi per evitarmi la caduta, ma di cadute non ne ho più, se conto tutte le volte che ho toccato terra e mi riservo di detenere, arrogandomi il paradossale diritto, di conoscere le massime teorie statistiche su quanto sia lecito ramazzare dato un angolo di strada che se lo svolti, subito dopo, trovi l'ostacolo e se tenti di rimetterti in piedi, capiti nella fossa; formule assai inesatte, lo so.
Stamattina, nevica. Ho pensato ci sia un grande senso di giustizia nella - mia - natura.
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