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Scritto da: Fragolosa67
Si può essere eroi per caso o per costrizione. Si può sopravvivere conquistandosi la libertà di essere invincibili e senza paura di morire. Per questo motivo, quando la corruzione ti veste e tu ti scrolli l'abito non tuo; essere eroi vuol dire costringere gli altri con tutte le tue forze a guardarti. Solo così si riesce a rendere sterili le calunnie, le falsità, gli intrighi. Quando tutto cessa e la notte prende il sopravvento, si muore come ogni eroe che vive di guerre: In modo prematuro ma lasciando un'orma in terra che non si cancella. L'aria, che respirano gli altri rimane contagiata dagli atomi della ribellione ed essi a loro volta insorgono. Entrano nell'uomo quieto e lo rendono forte. Non rimane il nome dell'eroe che è vissuto. Solo attimi delle sue gesta insegnano in pieno anonimato lo stesso coraggio. Credo, che in questi quarant'anni io abbia respirato tra le mura degli ospedali dove ho soggiornato questi atomi. Provenivano dagli ammalati gravi che combattevano coraggiosamente il male mortale. Dalle donne e dagli uomini che oltrepassavano i cancelli ognuno per i suoi motivi, portandosi appresso il loro coraggio di esserci. Non hanno storie conosciute i tanti volti che ho scorto. Nessun nome né identità. Eppure li ricordo e con loro sono diventata grande. Conosco le mani svelte e le ginocchia piegate volte a lucidare i marmi e gli zoccoli delle pareti. Il coraggio dei sanitari che affrontano giorni sempre ricchi della stessa esperienza di lotta per gli altri. La polvere cancellata come i tanti momenti di risate e di convivio sereno. Le stanche membra che riposavano seduti sui lunghi banchi di cucina dove le loro esperienze e le loro paure incontravano i miei occhi vergini ed innocenti. Non ho avuto paura neanche lì del tempo ed ho atteso. Non sapevo cosa poi avrei compreso. Sicuramente Il mio tempo. Questo periodo che sto vivendo. I miei amori, le mie esperienze. Gli stessi conforti e le grandi vittorie nelle più piccole imprese. Ho avuto molto coraggio e gli stessi occhi di tutti. Gli eroi dunque hanno lo stesso sguardo e lo stesso silenzio. Lo sanno che prima o poi cederanno ma combattono e perdono. La consapevolezza li rende speciali ed è l'unica ricchezza che si portano dentro lo sguardo e in petto. Loro sanno e non hanno più necessità di cercare verità. La verità, infatti, è la cosa più prepotente che esiste. Restituisce la libertà di voltargli anche tu le spalle. Forse per dispetto, forse per principio. Sicuramente perché riposta nel momento sbagliato non restituisce le cose perdute. Essa serve solo a costringerti a guardare indietro per farti vincere dai rancori. L'eroe guarda avanti indomito. La sua vita sono le sue conquiste. I suoi affetti. Chi rimane superstite e lo consola. Si trova solo l'eroe alla fine del cammino e sa che ad attenderlo c'è il suo faro. Non ha perso niente. Ha vissuto come voleva. Era guerriero diranno di lui. Qualunque sia il suo credo si troverà a brillare per se stesso come ogni stella del firmamento.
Composto mercoledì 24 maggio 2017
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    Scritto da: Fragolosa67
    L'amore è un contrasto alla malattia. Per amore non intendo il sentimento tra due individui innamorati  ma l'essenza stessa sprigionata dagli atti d'amore. Il trasporto gratuito e sincero verso gli altri/o.  Ciò che appare è il risultato di un beneficio che è energia molto simile a quella trasmessa dai sacerdoti durante la benedizione o l'imposizione.
    Non esiste forza benefica superiore all'amore incondizionato verso il prossimo. La situazione chimica che stabilizza l'aria che respirano entrambi è una medicina a tutti gli effetti. Non possiamo comunque aspettarci l'amore per noi da parte di tutti i medici che ci assistono. Non tutti professano la professione medica pensandosi sostenitori della vita per disposizione naturale. Qualcuno è persona in carriera però  la loro dedizione verso la guarigione del paziente è un atto di fedeltà verso tutto ciò che si chiama cura. L'accanimento terapeutico non è amore né dedizione ma un atto egoista che poco c'entra con i principi universali della vita che coincidono anche con la fine fisiologica degli esseri viventi. Il rispetto della natura comporta l'accettazione di un inizio e di una fine e la capacità di sostenere questa legge naturale perché non ci appartiene. L'uomo è titolare della materia non delle leggi dell'energia che l'attraversa. La forza che ci sostiene e ci rende vivi è un pezzetto di Dio e quindi nessun uomo può decifrare i segreti che compongono la materia madre universale. Chi ci prova è soggetto a perdere il suo genio e a non potere rivelare la verità a lui aperta. L'uomo utilizza solo una piccola percentuale della sua capacità mentale per questo motivo.  Infatti, gli sono sconosciute alcune leggi universali che sono proprie della sostanza viva. Avendo questa carenza, è soggetto alla potenza del DivinoCreatore a cui deve dare conto nei soli effetti degli atti non nelle azioni.
    Ogni uomo e altro essere vivente è piccolo di fronte al grande cosmo anche se lui stesso è cosmo infinito in scala differente. Se così non fosse, potrebbe voler prevalere su Dio ma l'altissimo lo ha anticipato e si è protetto di conseguenza non accettando di fare delle rivelazioni importanti. Se l'uomo riuscisse a leggere le leggi di composizione della sostanza primaria ,  il fuoco rappresenta,  nella sua specificità l'anti-materia che da origine,  diverrebbe un essere superiore paragonabile a Dio. Questa condizione potrebbe essere motivo di  guerra tra titani e sicuramente l'effettiva situazione di morte del tutto. Dio esiste ma è sostenitore delle leggi intrinseche dell'energia. L'uomo è titolare delle leggi specifiche della materia. I sacerdoti  sono la  prima famiglia di Dio. I custodi della fiamma intesa come libro sacro dell'umanità. Essi sono distinti per razza e sono considerati demoni giusti in vita e in morte. Ogni essere vivente è un demone quando si spoglia del corpo a causa del decesso. Oggi ,questo termine ha assunto un significato diverso che non corrisponde al vero. I sacerdoti sono i nostri angeli saccenti .  Coloro che accompagnano i  defunti nel regno dei morti quando essi stessi sono defunti. Un tempo, quando i miei antenati erano a capo della chiesa ariana, i nostri volti erano dipinti  nei templi per raffigurare gli angeli e altre figure sacre, non ultimo Juppiter.
    I sacerdoti portano anagrammato nel cognome l'appartenenza familiare a Dio ma di fatto tutte le creature viventi sono considerabili figli  dell'Altissimo.  Coloro che beneficiano dei nomi e dei cognomi riferiti a Dio e alla terra sono numerosi e considerati sigilli.  Entità divine in morte. Profeti dei nomi e della parola ispirata in vita. Sono sacri alla terra perché il loro corpo che si fa polvere si confonde alla terra d'origine e l'acqua che nel corpo è contenuta è la stessa acqua delle sorgenti.  La madre terra   rappresenta come fu l'uomo prima di essere plasmato e invaso dal respiro divino uguale per ogni materia vivente , nucleo di ogni pianeta e stella.  Il respiro che lo rende vivo , si confonde con quello di Dio attraversandolo nella preghiera e nella ricerca del proprio bene. Impariamo a sorridere.  A gioire. A  sorprenderci della bellezza che ci attornia. Ascoltiamo i versi degli animali, osserviamo i colori della natura. Scopriamo in noi quella parte semplice che contrasta i nostri affanni e le preoccupazioni quotidiane riprendendoci dei secondi di libertà per considerarci stupendi figli che hanno in dono la vita. Amiamoci noi come nessuno può fare.
    Impariamo a prenderci cura della nostra salute perciò qualche volta cerchiamo di rallentare il passo. La malattia corre come la morte. La vita è adesso. Ci attende ogni mattino. Ci accompagna   fino al tramonto e oltre. Condiziona l'esistenza di ogni individuo.
    Composto mercoledì 21 febbraio 2018
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      Scritto da: Fragolosa67
      Mio nonno aveva le fattezze simili ad Hitler: lo stesso baffo e la postura. Si riteneva bellissimo e sicuramente lo era. Un giorno è stato costretto a convivere con il problema della caduta dei capelli e perciò non toglieva mai il cappello. Ne aveva due che gli piacevano molto, uno di paglia alto e la coppola.
      Nonno non era cattivo come Hitler ma il mio eroe. Non ha fatto la guerra nel modo classico perché era un non violento. Voleva bene più di tutto alla sua mucca Stellina che anche a venti anni di età non era da macellare ed era troppo giovane per morire infine si dedicava all'uva. Curava il vigneto con amore e dedizione.
      Nonno era anche uno sportivo e durante la guerra ha partecipato ai giochi olimpici per la caserma Lamarmora di Trapani. Era un ginnasta. Non trascorreva mai la notte in caserma. Si presentava solo per l'appello e poi spariva con un plotone. Andavano nei campi in prossimità dell'aeroporto di Birgi per coltivare la terra ed occuparsi degli animali. Questo era un vantaggio per la mia famiglia ma anche per i soldati e gli ufficiali. Infatti, nonno concedeva a tutti buon cibo e riusciva a scambiare i suoi prodotti anche con pesce.
      Il nonno vestiva la divisa e partecipava ai ricevimenti. Era stato nominato caporal maggiore perché era il più alto di tutti. Un metro e novanta però castano con gli occhi verdi. Essendo un proprietario terriero che non voleva essere coinvolto dalla violenza della guerra se si trovava davanti un paracadutista lo aiutava e gli insegnava la via del nord. Non lo sapeva che a volte il bene arriva indirettamente. Mio suocero era a Mathausen in un campo di concentramento deportato per motivi politici. Sicuramente grazie a quei soldati americani si è liberato ed è tornato a casa soccorso dalla croce rossa italiana. Pesava venti chili ed aveva venti anni. Io a mio nonno devo molte cose. Forse i miei stessi figli e il grande amore che è stato mio marito. Per me guardare Hitler è differente rispetto a tutti. Dentro quelle fattezze c'è il ricordo di un uomo speciale che ho molto amato. Il mio eroe appunto. Oltre a mio nonno e a tutti i nonni eroi il mio più grande riconoscimento va all'America.
      Composto lunedì 19 febbraio 2018
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        Scritto da: Fragolosa67
        Il peccato e la malattia si incontrano nell'atto umano di solidarietà e/o egoismo dell'uomo.
        Il dolore nasce sempre da uno status di sofferenza provocato dal comportamento. La dignità degli esseri viventi si risolve nell'equilibrio corretto del suo corpo e della sua mente. Sollevare la sofferenza è l'atto più nobile che riusciamo a fare perché doniamo ad altri il tempo e la dedizione necessaria con la solidarietà che molto somiglia al pentimento che richiama il perdono di Dio creatore.
        La guarigione vuole una rivoluzione dello spirito che non potrebbe compiersi se non avessimo all'interno di noi l'energia divina. Viene da chiedersi allora cosa è veramente la malattia e cosa la cagiona in noi. Principalmente il comportamento e il richiamo dell'uno verso gli altri. Noi abbiamo necessità di sentirci partecipi in comunione e garantirci l'amore di chi ci è accanto. I familiari e gli amici sono un grande serbatoio di energia benefica che richiama la stessa potenza dell'altissimo che, nel momento più alto del nostro benessere si fa partecipe della gioia di vederci in salute. Ogni volta che un sofferente risorge dallo stato di sofferenza replica senza saperlo l'atto più magico del mondo. L'amore di Dio per ciò che ha creato. La medicina infatti, un tempo era arbitrata dai sacerdoti perché conservatori della parola del Creatore universale. La commozione di Dio porta salute e gioia interiore. Avvicinarsi in modo spirituale all'infinito nulla ci fa trovare pieni di lui e consapevoli della sua forza.
        La preghiera del Padre Nostro andrebbe rivalutata nella sua specificità musicale togliendo al suono il senso della vocale ivi contenuta. Scopriremmo una verità tra l'incalzare di una parola e la dolcezza di un altro suono. Essa induce al raccoglimento per proiettarci alla fine nella vera preghiera che l'umanità a volte non conosce. Il silenzio e l'allontanamento da tutto per sentire la pace e la propria vita. Nel nulla degli altri si incontra per forza Dio creatore e si beatifica nuovamente il corpo ritemprandolo. Tornare alla vita dopo è come se si torna da un lungo viaggio dove, raccolti e partecipi rivalutiamo con occhi consapevoli noi e il mondo.
        È necessario riscrivere la nostra storia dal punto di partenza e non di arrivo per completare il percorso vitale con serenità. La cosa più difficile è arrivati al prossimo traguardo, essere in grado di aprire nuovamente la porta della nostra vita e lasciarci entrare gli altri. Spesso necessitano del nostro perdono, della nostra commozione e della nostra considerazione per i loro limiti egoistici. Il problema è essere capaci di perdonare perché ogni perdono chiede uno stato di grazia universale chiamato pentimento.
        Il pentimento è una grazia divina che presuppone una disposizione d'animo superiore quindi diventa cosa rara. Il pentito si salva sempre e guarisce. Vive la grazia più alta riprendendosi in mano la possibilità di ottenere dalla vita l'opportunità di essere felici. Dove alberga la felicità la malattia fugge e il corpo riluce.
        I guaritori di un tempo si occupavano dell'anima dei famigliari o di persona vicina per guarire la malattia grave. Toglievano i peccati ai famigliari del coniuge o secondo parentela/ affinità per donare uno stato di grazia al malato. Oggi è compito dei preti. La confessione è dunque l'atto spirituale che ci consegna la possibilità di reagire con forza ai sacrifici e ci aiuta ad essere energia e forza di reazione per il paziente che soffre. Impariamo a sorridere, a fare una carezza non prevista ad un ammalato. Si salverà per un atto infinito di misericordia. L'energia data è perdono che può diventare pentimento nel malato. Poi, l'atto di rivoluzione interiore gli restituisce la forza di reazione ed insieme ad essa la salute. Per salute intendo sempre il benessere e l'essere stazionario a volte anche in casi più rari la completa guarigione fisica.
        Il malato vive la sua condizione patologica subendola mentre ottiene aiuto. Chi lo assiste è il vero castigato. Egli è costretto a pensare l'amato in sofferenza e a sacrificarsi per lui. Gli dedica la vita ed è costretto a stargli accanto. L'anima degli uomini non alberga interamente nel corpo di dimora. Solo una parte per la causale di vita. L'anima madre giace come radice senza la tutela del corpo in altro mondo a noi prescritto.
        La morte ricongiunge l'alfa e l'omega, il primo e l'ultimo sempre. Perciò causa di malattia può essere l'offesa verso i defunti tramite i propri atti. Questo credo è condiviso dalle civiltà antiche ed io gli do credito. Pregare i propri defunti, offrire loro fumi di pesce, delle intenzioni ci restituisce continuità con il nostro essere ma soprattutto ci preserva da ogni male. I defunti vivono un'altra condizione fisica ma sono partecipi attivi del nostro esistere. Lo scopriamo morendo quando a loro ci ricongiungeremo come energia grazie alle stesse leggi che sono custodite dalla fiamma. Il rispetto e l'onore sono il fondamento della vita dunque e ci permette di partecipare alla salute degli altri. Fa molto un padre nostro recitato da un gruppo di uomini che si fanno energia che sostiene un impegno. Ancora la solidarietà e l'amore che replica l'amore di un Dio che non ci dimentica.
        Composto mercoledì 7 febbraio 2018
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          Scritto da: Fragolosa67
          Mi scopro nel mio essere stella quindi essere divino nell'essenza, un firmamento con chi con me condivide il dono di esistere. La Torà è il libro che riconosco portare le sue parole nel mio cuore ed esprimerle con gli atti. Non sono ebrea eppure nelle parole del rabbino incontro il mio credere e il significato della mia esperienza di vita. L'esistere è un percorso distinto e personale. Non so fino a quando siamo messi alla prova dalle casualità dei temi preposti. Mi rendo conto che a volte prendere le decisioni giuste non è difficile o scomodo, ma confuso.
          Cosa è bene per noi. Per la nostra anima dovrebbe essere il tema liberatorio dalle menzogne e dalle povertà che a volte altri ci presentano come valori. Noi stelle di un cielo infinito dobbiamo riuscire a scoprirci infiniti nell'uno che in noi si rispecchia e prende voce. Io non sono io. Sono la saggezza dei miei padri e l'evoluzione di una radice che in me non dimora ma appare.
          Il fuoco che si divide e mi lascia vivere il confronto con il nuovo illimitato. Morirò spoglia di ogni cosa ma coperta di vizi e di virtù. Mi vestirò con i miei atti e scalderò la vita di un altro fiore, migliore stella che dopo me abiterà il mio sguardo e il mio sorriso. Non sono io. Vorrei dirti questo ma non posso farlo. Dovrei ammettere cose che non mi appartengono ed esulano dal mio pensare l'infinito buio che circonda la luce.
          Due spirali mi restituiscono la verità di me intesa come anima che rappresenta il mondo di anime.. Faccio del male ad un altro e sono soddisfatto. Nuoto beato nella luce, piccola pozza che avvolge il buio credendomi a torto nella verità di gioia.
          Non ho lasciato la pozza e non ho camminato oltre il piccolo cerchio. È un pianeta e il cosmo è buio.
          Si è soli anche all'incontrario ma se la pozza è scura è sempre meglio. Si può fuggire da una pozza e correre nella luce senza rendersi conto che il tempo del viaggio è limitato. Nella luce della saggezza il tempo diventa infinito, immenso.
          L'anima è un respiro divino che brilla e si confonde sempre nella luce.
          Vorrei accendere una mizva ogni volta che credo di annegare nel buio e poi mi scopro stella che brilla confondendosi nella luce divina.
          Mi ricorderebbe di non confondere i passi e di sorridere quando non sembra esserci la ragione per farlo.
          L'era messianica è questa che risponde ai perché rivelando con una mizva la luce più alta che supera il venerdì dopo per restituire in ogni sabato la shabbat.
          Oggi mi sento ebrea ma soprattutto creatura creata. Nel mio essere sono stella mi rivedo capra. Dodici tribù hanno attraversato la terra e la quinta punta ci ha condotto qui quando cercavamo ristoro e una casa. Terra, natura, speranza. Ciò che oggi si chiamano civiltà e progresso.
          Sono stella ancora come ieri e seguo i passi di chi ha lasciato un'orma. È la mia terra che calpesto e a volte prego affinché mi restituisca sempre l'armonia e la speranza di una terra promessa. Voglio credermi luce che copre il buio della pozza e cammino per questo via.
          Ho il cuore della mia tribù la arii, mentre il mio sguardo volgo verso lo spazio dopo la pozza. Dove rispecchio io stella nel buio e lo illumino o mi trovo ad essere un Sole, la stella nana che nasconde la malvagità?
          Sicuramente il mio cielo contenuto è buio perché buia è la pozza dove dimoro ed io sono la mizva per chi da me spera un conforto e un aiuto.
          La mia mano è tesa. Il mio passo è fermo. Il mio pensiero brilla e si confonde nel cuore di Dio. Così riesco a ridere e a sperare di correre talmente veloce da incontrarlo Alla fine. So che mi ama qualunque cosa accada.
          Per me e per ogni uomo che chiede una mizva per l'infinito tempo. Le parole di un frate messaggero del mio sogno di diciottenne si fa chiaro davanti a l mio chi sono domandato a Dio: "Sporca", "negra", "ebrea" ma capra di questa vita. L'origine che custodisce la chiave di una chiesa vuota, semplice, umile, di campagna che incontro nell'oscurità. La prima chiesa del mondo. Io stessa. Mi incontrerò alla fine del tempo effimero Mi scoprirò eterna. Io discendo dalla capra. Dove stavano le capre a Roma. Io sono i miei antenati. Una signora. (San Francesco Di Paola) Lo è anche chi nella difficoltà della vita ottiene un sostegno dai servizi della società. A loro va il mio sguardo fortunato. Sia candela di giustizia per il tribunale più alto. La verità e la purezza del cuore appartiene all'onesto. Egli a volte è povero delle cose materiali ma come me, ha una mizva. La sua luce divina. Basta per un minuto sincero e per azzerare le vanità che costruiscono falsità e ingiustizie dal pulpito.
          Composto martedì 30 gennaio 2018
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            Scritto da: Fragolosa67
            Si può nascere pensando che il mondo è una fiaba a colori da conquistare e ritrovarsi a lottare per ottenere l'esistenza.
            Io ho dovuto rubare ogni cosa alla vita dal momento che sono venuta al mondo perciò, l'unica cosa che conosco è la lotta per la sopravvivenza.
            In Italia non è semplice essere una me.
            Mi sono trovata molto piccola a dover fare i conti con una realtà importante. Non avevo morti al cimitero, una identità. Ero la figlia di Dio.
            Il mio compito dal primo giorno è stato l'osservazione e la mia prima amica la Luna.
            Il mio gioco preferito schiacciare le api che mi venivano addosso e correre veloce.
            Poi ho conosciuto la corda e saltavo sempre.
            Non conosco divertimento più grande di saltare la corda all'infinito. L'imbrunire era l'unica cosa che mi faceva smettere. Io, da sola, all'entrata del collegio mi rendevo conto che non c'erano gli altri solo perché era buio. Perciò salivo nelle mie stanze per il riposo.
            Ho trascorso una bellissima infanzia sempre responsabile di qualcosa. Delle addolescenti da tenere d'occhio e poi dei libri che recensivo per tutti.
            Non sapevo cosa avrei fatto da grande. Nessuno mi ha detto che potevo essere un Astrofisico perciò oggi mi piace scrivere.
            Gli altri mi stimavano, mi temevano, mi sfidavano perché ero la più forte a braccio di ferro e velocissima nella lotta con i piedi. Per rilassarmi facevo le capriole sullo schienale delle panchine del parco e mi appendevo con le gambe, a testa in giù sui ferri in sospensione.
            In verità mi piaceva anche l'altalena. Mi davo troppe spinte e facevo girare le corde a 360 ° così spesso mi ritrovavo seduta per terra. Ho giocato tanto e per tanto tempo. Mi sono trovata addolescente senza neanche rendermi conto del tempo trascorso.
            Il tempo è stato il mio più grande inganno. L'ho subito. Le giornate che ho vissuto sono state troppo veloci. La sera infatti già alle otto dormivo e non riuscivo a tenere gli occhi aperti. Non ho visto i film alla Tv e forse mi sono persa molte cose. Non posso saperlo.
            Sono andata a dormire presto fino a 21 anni poi, mi sono dovuta adattare alla mia nuova vita scolastica ed ho scoperto la notte. Le luci, la movida. Il piacere di divertirsi fino al mattino ballando fino alla chiusura.
            Ho guidato senza patente ma ho rotto una colonnina del benzinaio perciò mi sono data all'ippica.

            Mio padre

            Mio padre da piccola era un ricordo consolatore. Lo ricordavo scherzare con me mentre mi faceva volare in alto e mi riprendeva o per tenermi buona mentre parlava. Mi metteva sdraiata sulle sue gambe piegate a "piano stabile e per farmi stare buona mentre discorreva con l'amico mi massaggiava la schiena. Un uovo più grande di me a Pasqua e poi mamma che mi imponeva di darlo per morto.
            Di mio padre si parlava bene e male. La" malvagia "era mia madre, gli altri lo stimavano. Nonna mi dava dei finti sculaccioni sul sedere se mi sentiva dire che papà era morto. A questo punto ho lasciato perdere la storia della sua morienza poi, a quindici anni volevo rivederlo.
            Non era possibile in nessun modo rintracciarlo perciò ho preso la situazione in mano, sotto il mio controllo e ho deciso che l'avrei conosciuto.
            Ero dai nonni ed ho dichiarato che avrei ripreso ad alimentarmi il giorno che mi avrebbero condotto da lui.
            Sembrava uno scherzo ma dopo pochi giorni la cosa non ha fatto ridere nessuno. Stavo vicino al piatto e non toccavo cibo. La fame si faceva sentire prepotente ma non mi arrendevo. Tra i brontoli e la sofferenza notturna mi addormentavo senza ingerire niente.
            Gli zii, i prozii, parenti che saltavano fuori all'improvviso, continuavano ad invitarmi a casa loro e mi facevano sedere in tavole imbandite. Solo che i giorni passavano e io non cedevo notando i volti preoccupati. Non era semplice la lotta ma io ero determinata. Piuttosto sarei morta ma quell'anno avrei incontrato mio padre.
            Dopo dieci giorni di fame, papà è apparso cercato da tutti. Quando l'ho visto sono stata fiera del mio risultato ed ho sospeso la guerra.

            Da questa esperienza, ripensandoci mi sono resa conto che la fame è una finestra nel mondo come la conoscenza. Ti rende lucido e ti mostra vie differenti. Ho mantenuto il ricordo della mia fame, il senso di vuoto e il ricordo dei brontolii che si odono. Ho riconosciuto grazie a questa esperienza ogni mia fame per ogni volta che dalla vita ho preteso qualcosa.

            Trovare mio padre mi è servito perché mi sono compresa ed ho trovato in lui quella parte di me che gli appartiene.
            Non mi sono mai sentita slegata dalla sua anima eppure gli ho vissuto distante.
            C'è un filo sottile che ci lega l'ho compreso dopo, quando ho dovuto salutarlo e rinunciare alla sua presenza fino all'estate successiva. Non volevo dipendere da lui. Solo amarlo con distacco. Stargli lontano voleva dire mantenere una indipendenza che mi ero conquistata perché mia madre non poteva seguirmi ed io potevo costruire la mia personalità come meglio consideravo.
            Sono tornata a Milano attratta dalla personalità di mio padre. Non ho mai visto un uomo più affascinante! Pensavo infatti che avrei incontrato un giorno uno con la sua stessa" bellezza" invece ho sposato un uomo differente.
            Papà somigliava molto a Miguel Bosè ed era molto apprezzato dalle donne della città. Non è nato per essere un marito fedele ed io sono l'unica donna che lo ha compreso.
            Ho provato da subito un grande affetto filiale per lui. Come se nulla si è mai interrotto tra noi. Anche lui mi dimostrava lo stesso bene e per me suonava ogni sera.
            Io e mio fratello danzavamo nel grande salone della sua villa al mare. Mi sentivo felice e mentre volteggiavo al suono della fisarmonica o della pianola, uscivo nel patio della casa e vedevo la laguna. Il mare era bellissimo. Ogni cosa perfetta. Ero felice.
            Un giorno papà mi ha mostrato una cosa. In un cassetto segreto dove era appoggiata una pianola grande vicino all'equalizzatore, teneva tanti spartiti. Erano le canzoni che aveva scritto per l'unica donna che ha amato veramente: Mia madre. Le ha suonate a me.
            A casa pure lei mi aveva confessato lo stesso sentimento mai sopito perciò ho compreso da subito che molti adulti peccano di idiozia.
            Hanno fatto di tutto per stare lontano e poi si rimpiangevano.
            Io da questa storia ho capito che da grande sarei stata più spontanea. Avrei detto la verità all'amore mio. Non gli avrei scritto canzoni romantiche ma l'avrei vissuto con coraggio.
            Gli adulti sono persone contorte mi sono detta. Poi mio padre mi ha spiegato. Ha preso tante mazzate e si è dovuto sposare la fidanzata ufficiale. Mia madre ha dato i numeri e le corna sono piovute. Non esisteva il divorzio. Dovevano fuggire all'estero per vivere insieme.
            La legge italiana mandava in carcere i padri che decidevano un'altra donna, altri figli.
            Io mi sono sentita colpita duramente dalla giurisprudenza che decideva per me l'allontanamento forzato da ciò che era sincero.
            Io figlia ripudiata per una famiglia tradizionale avevo un posto in una famiglia di orfani che forse erano solo condannati dal falso perbenismo e dall'ipocrisia del tempo. Il peccato che vive e si condanna.
            Lo capisco solo adesso che mi ritrovo ad affrontare ancora una volta il processo alla mia vita in modo sbagliato essendo in verità persona integra moralmente che molto ha costruito con fatica guardando avanti creando piccole squadre come grande è sempre stata la mia considerazione di lavoro, casa, società, altruismo.
            I ladri della mia esistenza si forgiano sempre di una ragione che non conosco ma molto racconta di tribunali che non sono in grado di giudicare e gestire la verità di un'esistenza. Un limite della nostra società che crea falsi delinquenti e delinquenti restituiti al mondo perbene con l'approvazione di un tribunale. La storia è infinita perché non è il diritto scritto il problema ma l'uomo giudice incapace. In questo periodo storico non mi sento vittima dunque ma eroe in un sistema non trasparente e difficile da interpretare.
            Oggi guardo al colpevole dichiarato pensandolo un mio pari. Figlio di Dio. Orfano della Giustizia potenziale. Non sempre in questo sistema colui che paga come ladro o altro lo è. La calunnia è padrona della giustizia umana. C
            Come i pazzi non sono sempre veri malati ma aggrediti dai ladri della vita. A fare la differenza forse da secoli è il grado di aggressività che dimostriamo forgiandoci della stessa falsità con cui io sono nata figlia solo di Dio e di mia madre. Oggi mi è chiaro.

            Credo che è il vero regalo che ho ricevuto dalla vita è stato mio marito.
            Non era affascinante come papà però era il massimo che una donna può aspettarsi da un uomo. Io sono stata amata con sincerità e coraggio.

            La verità non è scritta e solitamente non si racconta. Si vive in due. Ci condiziona l'esistenza. Ci fa perdere emozioni, futuro e quella cosa sincera che ho ritrovato nel rapporto tra mio padre e mia madre e dopo nella mia casa costruita non per mio merito ma perché lo ha voluto un angelo con forza pensando che anche io Figlia tanto cara a Dio avevo diritto alla reale conquista. Dio ci ha ripensato? Forse.
            Vuole verità per tutti e ci prova o ci conferma. Diciassette anni d'amore valgono falsi giudizi di tribunali della terra e mi restituiscono la speranza che anche per chi come non è nato dalla comunione tradizionale può sperare in un futuro di resurrezione e di grande trasparenza morale. Riprendo questo tema in Dono Segreto la Libertà, mia opera dove tratto temi come le unioni civili e il diritto di famiglia.
            Mi spiace dovere ammettere che spesso viviamo in contesti dove si può dire semplicemente ho trascorso la vita lottando contro i mulini a vento. Era tutto prescritto, pre-ordinato. I giudici sono i veri colpevoli dei drammi o le vicissitudini che incontriamo vivendo?
            Una bella domanda che se risposta semplifica la vita. Restituisce il principio di giustizia, di Democrazia, di progresso civile.
            Composto giovedì 16 novembre 2017
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              Scritto da: Fragolosa67
              Tra poco sarà il sette novembre. Non attendo il fatidico giorno per guardare nel cielo se per caso esiste una stella che brilla più delle altre. Amare vuol dire portarsi quella luce, il suo bagliore dentro il nostro vivere e non sentirsi per questo mai soli nell'immenso spazio che è il mondo. Dimenticare la felicità vissuta vuol dire dare un calcio anche a se stessi e rinnegare la vita. Il dramma è una condizione dovuta che siamo costretti a vivere a turno. Domani, no domani l'altro mi ricorderò che è caduta nel mio cielo una bellissima stella poi due tre, quattro. Ho molte stelle da ricordare ed ho perso il conto perciò continuo il mio cammino e provo a concentrare i miei occhi e il mio pensiero verso l'orizzonte. Il mio presente di sempre.
              Composto martedì 31 ottobre 2017
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                Scritto da: Fragolosa67
                Un incontro speciale.

                Tutto è cominciato dal mio scoprire l'interesse per la storia grazie ad un comportamento razzista che mi ha costretta ad andare via da Milano, lasciare la madre appena ritrovata dopo anni, perché la scuola di via Pisacane non era adatta ad accogliere la gente meridionale. Non ho pianto. La suora ha detto che era la cosa da farsi. Era Vero! Non ho mai pianto mia madre anzi, sinceramente mi ero dimenticata la sua faccia.
                Quando l'ho vista, mi è stata presentata e di primo acchito mi ha fatto antipatia. La mamma era una donna che somigliava molto a Brigitte Bardot luminosa e bellissima. Le bambine grandi mi avevano avvisato che sarebbe tornata a prendermi e me l'avevano descritta.
                Bionda, con i capelli lunghi molto pettinati, la minigonna e gli stivali bianchi. Sembrava uscita dallo schermo di un cinema ed io non potevo presentarmi scompigliata in più ho ritenuto opportuno diventare pure io bella e splendente. Infatti, mi ero pettinata per diventarlo. Prima dell'incontro, in attesa del suo arrivo ho trovato un pettinino bianco su una sedia abbandonata fuori posto nel secondo cortile e me ne sono impossessata. Mi sono pettinata con impegno specchiandomi nel bagno del primo piano. Il pettine l'ho utilizzato anche dentro la sala riunioni. Ad un certo punto, ho visto numerose formiche scappar fuori dalla mia testa. Saltavano ed erano grandi.
                I pidocchi! Le bambine si spostavano per osservare bene la gara che ho impiantato sul momento. Era divertente vedere i pidocchi saltare sul tavolo lucido di legno di radica. Ridevo felice per avere trovato un gioco stupendo mostrando la mia solidarietà cercando la partecipazione di gruppo. I pidocchi scivolavano che era una meraviglia.  Se tentavano di fuggire dalla corsa li schiacciavo al volo. Tanto ne avevo di riserva! Ogni volta che passavo il pettine saltavano giù pronti per gareggiare. Se morivano i disertori c'erano gli altri atleti pronti per lo stacco. Le adolescenti mi guardavano con occhio critico quasi traditore. Ho pensato fossero dispiaciute per la mattanza. Una di loro, con fare sinistro si è allontanata. Guadagnata l'uscita camminando all'incontrario ha corso. Dovevo schiacciarla! Dopo poco, è arrivata suor Beatrice e mi ha acciuffato al volo. Mi ha messo in braccio e correndo mi ha portato due stanze più avanti la sala. In lavanderia. Davanti alla lavatrice mi ha fatto sedere tagliandomi i capelli a caschetto. Poi mi ha fatto lo shampoo sottraendomi il pettinino ormai mio. Il problema si è risolto così. La perdita del pettine ha segnato la fine della possibilità di ripetere il gioco per mancanza di sportivi tutti deceduti causa forza maggiore ed io ho perso l'occasione di essere come la mamma uguale a Brigitte Bardot.

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                Sono finita in un grande pullman insieme ad altri bambini a metà della seconda elementare su espressa richiesta di un papà che, incurante della mia presenza, ha mostrato un grosso disappunto per me.
                Era un uomo autorevole ed avrebbe portato via sua figlia da quella scuola pubblica se fossi rimasta io.
                Aveva già tolto la figlia dall'attività sportiva e le ordinava di non accettare nulla dall'aliena. Anche l'insegnante era concorde e tutti mi guardavano come se io fossi diventata all'improvviso tutta verde. Non mi pesava il loro comportamento perché la mia attività scolastica era dinamica. L'insegnante con una smorfia ha detto alla suora che ero brava. Mi interrogava spesso ed era solita farci scrivere molto. Ho dovuto spiegare davanti alla cattedra parecchie letture su gente tonta. Uno di questi personaggi aveva cucinato cinque piselli di numero e per constatarne la cottura, se li era mangiati tutti. Un altro ha chiesto di diventare tutto d'oro e poi si disperava perché non poteva nutrirsi. Un altro era un amico infame che alla vista di un orso si è dileguato lasciando l'altro in balia del pericolo. Fortunatamente costui si è sdraiato fingendosi morto. L'Infame, allontanatosi l'orso, è sceso dalla pianta dove aveva trovato rifugio e ha chiesto all'amico cosa era successo quando l'orso si era avvicinato a lui. L'uomo all'ora gli ha risposto che l'orso gli ha detto di guardarsi dai falsi amici e poi l'ha lasciato vivo. La storia più bella che mi ha fatto divertire parecchio è stata quella dei due ladri che contavano le patate rubate, all'interno di una chiesa quando ormai era sera. Se ci penso mi viene ancora da ridere. La conta è stata scambiata per quella fatta dal diavolo che si contava le anime dannate mentre le spartiva con il Padre Eterno. Ah! Ah! Ah! Perciò, mi divertivo. Il mio libro di lettura era bellissimo. Ah! Ah! Ah!. Ho finito di leggerlo a Selvino.
                Una fila di pennarelli Carioca appena ricevuti dalla mamma mi ha aveva fatto dimenticare primo giorno di scuola. Non è stato semplice entrare in classe. La lezione era già iniziata. Con la suora sono andata prima ai servizi ed ho imparato a fare i bisogni in piedi. Poi, abbiamo bussato. Mi sono tolta il cappello. La suora l'ha trattenuto. Ero intimorita e mi è uscita una lacrimuccia perché tutti si sono voltati osservandomi creando un improvviso silenzio rotto dall'insegnante: Lei è la nuova bambina che abbiamo in classe. Arriva dalla Sicilia. Dicendolo si è avvicinata a noi andandoci incontro. Mi ha indicato il mio posto e ha detto alla suora: le lezioni sono iniziate da una settimana. Come mai è arrivata oggi? Tutta la settimana ero stata in collegio a prendere altre disposizioni. In silenzio, guardando i visi sconosciuti, mi sono avventurata fino al mio posto ed ho salutato la mia vicina di banco. Una bimba graziosa con i capelli lunghi e lisci di colore castano chiaro.
                Nessuno mi parlava in classe tranne una ragazzina che camminava sulle punte. All'intervallo uscivo dalla classe e giocavo con i miei compagni di collegio. Io vivevo in una villetta gestita dalle monache ma di proprietà di una aristocratica di Milano felice di avermi lì perché le rette esclusa la scuola, erano care. Mi è stata data una camera da letto singola con una educatrice arrabbiatissima per la condivisione ma poi ha trovato un'altra sistemazione. Inoltre, avevo in dotazione metà di una lunga scrivania bianca bellissima per fare i compiti all'interno di una stanza che condividevo con altre ragazzine più mia sorella. In tutto eravamo due per scrivania. Dodici bimbe.
                La mia preparazione era buona e costantemente monitorata dalla suora. Prendevo sempre bravissima ma era scritto calcato in rosso come una sgridata. Ero avanti rispetto alle mie coetanee nell'apprendimento perché in Sicilia, nel collegio delle suore vaticane, io condividevo la camera con la madre superiora che era la mia insegnante. Lei, durante i pomeriggi mentre correggeva compiti, mi faceva scrivere in un quaderno di bella copia. Aveva dei timbri blue che utilizzava per timbrare in alto a destra ogni due pagine. In quel quaderno non si poteva scrivere male! Le lettere erano stilizzate e vicino c'era la frutta disegnata oppure degli oggetti. Uno per lettera. In classe sono stata la prima che ho imparato a leggere, a comprendere i dittonghi e la matematica perché il ministro X. mi ha regalato le figurine degli uccelli. Tutte! Pure l'album per attaccarle! Lui dandomi questo regalo mi ha insegnato il trucco di come accostare fino a tre numeri per attaccare le figurine per poi leggerle. Così ho imparato a contare fino a mille e oltre.
                Per la mia giovane età, non comprendevo essere terrona fino a quando ho deciso di piantare uno alla volta i mie cinque chicchi di grano tenuti gelosamente in tasca insieme ad una noce vecchia dell'anno prima. Li tenevo gelosamente all'interno della tasca del mio cappottino blue con il collo di pelliccia bianco. Allo spuntare veloce della prima piantina fra l'erba all'ingresso della villa, ho notato con mia somma meraviglia la rabbia della suora preoccupata per la sua aiuola. Anche il chicco di grano era di troppo? Dopo il quinto seme che ormai dopo un giorno era già una piccola piantina verde molto carina, mi sono sentita un rimbrotto di fronte a tutte e un terrona! Urlato con tanto piacere dalle bimbe. Detto a bocca piena. Poi, la risata collettiva.
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                Ho tirato fuori una lingua lunga fino al mento voltandomi. Proprio come quando ho fatto la pipì addosso una notte che ero troppo rilassata e stavo sognando di essere al bagno. Anche lì mi hanno schernito e fatto mettere le mutande in testa per vergognarmi. Invece, mentre attendevo il ritorno di suor Beatrice che stava nella casa di Papa Giovanni XXIII, con strafottenza ho cacciato fuori la lingua e ho guardato dalla finestra.
                Non li ho sentiti più deridermi. Mi sono dimenticata di avere le mutande in testa perché ho scoperto una cosa eccezionale che non avevo mai visto prima! Fuori dalla finestra c'era un grande terrazzo con un lavandino per il bucato. All'interno era rimasta l'acqua blue e il rubinetto faceva cadere delle gocce d'acqua. D'improvviso, è accaduto l'incredibile! Un mondo di fate davanti a me! Come tante stelle piccole e bianche cadevano lentamente i fiocchi che si posavano dolcemente dentro il lavandino per poi sparire. Il terrazzo sembrava magico. Io ero immobile. Meravigliata!
                Una magia che mi aveva lasciato stupita con il naso schiacciato sul vetro. Qualcosa di meraviglioso e fantastico! Nel terrazzo grigio si accumulavano i piccoli fiocchi e il cielo era di un colore mai visto prima: bianco!
                Non sapevo cosa stesse accadendo. Mi rendevo conto che davanti a me stava avvenendo una trasformazione del paesaggio. In questo mondo fantastico dove ero finita, non smettevo di guardare le stelle tuffarsi nell'acqua blue. Sentivo anche la musica in tanta meraviglia. Era il ticchettio costante della goccia che cadeva più decisa dal rubinetto creando dei piccoli cerchi per tanta felicità. Dopo poco ho sentito urlare: la neve! Scende la neve! Si sono dimenticati tutti di me quasi nell'immediato, appena ho voltato loro le spalle ma ho notato l'avvicinarsi di un'adolescente che le aveva fermate parlando a bassa voce. Avevano paura della madre superiora e prima o poi avrebbe fatto ritorno. Le avevo perse quelle adolescenti davanti a quel vetro fino a quando ci siamo trovate tutte accalcate con le facce appiccicate sui vetri, intente a stupirci di questo miracolo chiamato neve. Non capitava mai la sua caduta in Sicilia perciò, ci è sembrato una grande novità.

                Terrona.

                Non avevo più chicchi di grano e non potevo più piantarli ma non mi sono preoccupata e sono andata via dall'aiuola, stizzita non per la parola terrona che non sapevo cosa significasse ma perché nella tasca del mio cappottino blue con il colletto bianco di pelliccia, avevo in tasca solo la noce degli antenati e quella non volevo perderla.
                Perciò l'ho conservata dimenticandomene.
                Non lo sapevo che essere terrona voleva dire non potere vivere a Milano perciò ho ascoltato la suora con attenzione quando mi ha detto che mi salutava e che sarei finita in un altro posto.
                Infatti, a metà lezione una mattina la suora è venuta a prendermi in classe e mi ha portato in un posto chiamato via Statuto. Mi hanno visitata e poi sono stata ad attendere che toccasse il mio turno per salire sul pullman.  Sono andata via con tanti sconosciuti e i miei due fratelli.
                Lì ho continuato la seconda classe. Mi sono impegnata a completare i miei libri. Dopo l'estate, la scuola è continuata ma ho avuto una bella sorpresa. La colonia di Selvino mi ha voluto regalare un sussidiario!
                Un libro meraviglioso che conteneva tante cose. Non più il libro di lettura e quello di matematica da completare ma un libro che aveva una storia che continuava in modo avvincente e delle immagini colorate che a volte parevano vive.
                In questo libro, ho conosciuto un tale Muzio Scevola. Uomo determinato a tal punto da mettere la sua mano dentro un braciere e tutta una storia che aveva qualcosa di fantastico come la neve!
                C'erano gli elefanti che camminavano dall'alto della pagina e scendevano in fila ordinata spaventando i poveri romani e delle donne che vivevano in case senza tetto come quelle di Trapani e amavano come noi le acque calde. Donne bellissime. Uomini che mangiavano sdraiati. La lotta. Il credo. Il Ratto delle Sabine.
                I gemelli Gracchi. La sfida poi, all'improvviso il mio cognome segreto era lì. La prima famiglia di Roma gloriosa si chiamava come me! Allora io ero loro e quella che leggevo la mia storia. Forse anche i romani conoscevano Selvino con i boschi e i prati perché erano terroni!
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                Ringrazio oggi questo padre razzista che involontariamente mi ha fatto vivere in armonia. A Selvino sono stata una bambina felice e vivace. La scuola milanese che ho lasciato aveva un non so che di triste con quel cortile con una sola pianta centrale. Tutto così ristretto e cupo. Anch'io, guardando dalla finestra della classe mi impensierivo perché ricordavo che da un' altra parte c'erano le colline di Soria, i nonni, Suor Lavatrice.
                Lì ero la responsabile del giardino, delle adolescenti, del bellissimo frutteto con il grande cancello scuro. Il mio collegio era speciale. Nello stanzone dove ero finita in vista della chiusura definitiva c'era un lavatoio con l'acqua blue oltremare dove anche la neve amava tuffarsi.


                Ancora la neve.

                A Selvino c'era la neve altissima. Mi arrivava alle ginocchia ed io ero la goccia del rubinetto che si rotolava per la felicità tutto l'inverno. In montagna mi sentivo ancora a casa tanto da dimenticare come si cammina. Io non camminavo, facevo la ruota e giocavo con le api e con tutti i terroni come me. Eravamo felici di esserlo. Infatti, in questo posto probabilmente lo eravamo tutti anche i paesani che ci sorridevano sempre e ci venivano a lavare e cucinare senza problemi. Inoltre, si presentavano alle nostre feste e quando avevo sete bussavo nelle porte delle ville. Donne gentilissime mi aprivano dando l'acqua da bere non solo a me ma anche a chi mi era accanto.
                Roma ha accompagnato i miei otto anni colorandoli. Non mi ha fatto sentire che non avevo la famiglia classica ma allargata e spensierata.
                Alla fine, mi è dispiaciuto andarmene ma le cose belle non possono durare per sempre. Milano ha significato, andare all'ospedale a piegare le garzine e andare in una scuola limitata e piena di regole. Non è stato semplice vivere il nucleo famigliare limitato. Io avevo una famiglia più grande. Disposta diversamente da quella proposta dalla legge che, in verità, non mi mancava. Mi sentivo felice tra i prati e con i bambini. È stato un anno difficile, pesantissimo constatare che la famiglia non era il mio habitat giusto. Finalmente un angelo amico mi ha salvato dalla galera e sono tornata in collegio!
                A volte la vita non è poi così ostile e le cose negative cessano. Bisogna pazientare ed io ho pazientato il tempo della fine dell'anno scolastico.
                Composto sabato 10 settembre 2016
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                  Scritto da: Fragolosa67
                  Uno sguardo all'America.
                  Dentro i sogni ci sono le aspettative per un futuro di grandezza. Dai sogni si cade e ci si schianta sul duro suolo. L'America e il suo sogno possono essere questo. Per un incanto la gente costruisce prospettive e parte all'avventura. Noi, lo facciamo ogni volta che decidiamo qualcosa di concreto che fa iniziare un nuovo progetto fatto di opportunità nuove e solide. Non so quanti tra tutti hanno conosciuto il sogno americano e lo stanno vivendo. So soltanto che ogni giorno milioni di individui iniziano ad inseguirlo e, per ciò che trovano lungo il percorso ad ostacoli si scoprono nella loro natura di preda o di fiera. Essere leone o gazzella durante la corsa ê essere America. Non abbiamo necessità di attraversare l'oceano per diventare noi stessi. Spesso viviamo all'interno del nostro territorio in un mare profondo ed incognito pieno di squali vivendo il silenzio delle profondità marine dentro la nostra anima che attende un miracolo. Non so perché ci aspettiamo qualcosa dagli altri. Sicuramente perché in noi alberga la consapevolezza di non essere soli e di vivere un destino comune. A venti anni è facile vivere di aspettative con lo sguardo fiero di un americano che crede nei valori progressisti. Quando il tempo scorre, molti tramonti si susseguono alle albe. È il momento che proviamo ad arrenderci di fronte a delle guerre mai vinte che chissà perché conoscono altri guerrieri vittoriosi. Essi non sono più duri e determinati di noi durante la ricerca "dell'oro del klondike". Probabilmente semplicemente più aggressivi. In queste spedizioni come per ogni fronte, molti nomi sono rimasti coperti dalla polvere che cancella la storia. Non rimangono impresse a terra le loro orme. Questo è il motivo per cui altri uomini dopo di loro percorreranno l'uguale sentiero soccombendo agli inganni. Non erano veri americani ma viaggiatori del mondo. L'uomo sicuro di se malgrado qualche sconfitta e qualche conquista è l'America. Egli fino a quanto non è spirato e gli occhi si sono sbarrati mantiene la sua fierezza.
                  Composto mercoledì 10 maggio 2017
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                    Scritto da: Fragolosa67
                    La vita ha pensieri muti e profondi.
                    Un respiro eterno e la poesia.
                    Ci vuole fantasia per rinascere ogni giorno.
                    Forse semplicemente degli occhi da incontrare.
                    Volontà è resistere al tempo, alla burrasca e ad un amore che ci resiste.
                    Forza è ricominciare sempre da noi.
                    Essere eroi è non morire quando la vita ancora ci chiama e ha molto da dire.
                    Composto lunedì 29 dicembre 2014
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