I figli della cattiveria non hanno stanze all'inferno, perché manco il demonio li vuole. Saranno carne putrida per blatte avide.
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I figli della cattiveria non hanno stanze all'inferno, perché manco il demonio li vuole. Saranno carne putrida per blatte avide.
Ogni giorno volti in maschera con finti sorrisi stampati in faccia, pronti a recitare una nuova parte, ma mai un ruolo migliore. Tristezza.
Qualche sera si avvolgevano una coperta sottile sulle spalle e, seduti sul divano, contemplavano la fiamma del caminetto come qualcosa di magico. Ascoltavano il fuoco. Evitavano di parlare come per non mancare di rispetto a quel calore imponente che riusciva a capire i loro silenzi e ad ardere, quasi con rabbia, tutto quello che li logorava dentro. Era una compagnia sincera quel fuoco, l'unica che, come il mare, riusciva a sapere ed annullare, l'unica che toglie e ridà vita, l'unica che li avvolgeva di un abbraccio puro. Si addormentavano spesso così, abbracciati, mentre i loro dolori diventavano cenere.
Il mattino era una salvezza. Lo amava. Amava quegli istanti in cui tutto rimaneva in perfetto silenzio, immobile, mentre la natura s'illuminava di splendidi colori. Le piaceva guardare fuori dalla finestra, assistere a quello spettacolo come ad un miracolo: la luce portava via le ombre e i fantasmi. Per un attimo si spinse fuori col viso e si lasciò accarezzare dalla brezza. Era ormai un rituale, ma era vita.
Non si può essere stagione per nessuno se non impari ad usare il sole. Fu così che prese coscienza del fatto che nel suo cammino non c'erano mai state stagioni. Guardò il cielo, come amava fare spesso, e improvvisamente avvertì il profumo di un caminetto appena acceso e la carezza di un tiepido, timido raggio di sole. Capì che nessuna stagione era più importante di se stessa.
C'erano delle cose che accadevano così, come ad esempio il freddo. Una sensazione strana, un'affermazione all'apparenza stupida. Eppure, quel giorno, bastarono pochissime parole, perché tutto l'inverno che era fuori le scendesse dentro. Dentro di sé accennò un sorriso amaro: non si può essere stagione per nessuno se non impari ad usare il sole.
Vorrei un mondo diverso. Dove la parola interesse non esiste. Dove l'anima ha più valore dei soldi. Dove il bianco e il nero siano ben distinti e il grigio non sia nemmeno un colore. Dove ci sia cuore per tutti e ogni abbraccio sia sincero. Intanto, mi perdo.
Era una stagione strana l'inverno. Attendevo spesso il sabato per fuggire via. Avevo un amante segreto: il mare. Chiudevo tutto e correvo lì, ad abbandonarmi in quell'abbraccio che sapeva d'infinito. Dove il silenzio mi cullava i pensieri e il dolore riaffiorava e spariva, con lo stesso moto che usano le onde nel riportare a riva e trascinare via i segreti del mare. Era l'unico modo per non morire.
Volevo raccontartela la storia di quest'angelo. C'era sempre, sai? Un angelo che di me sapeva tutto. La prima volta che lo vidi ebbi una gran paura, mi assaliva il timore che quella notte seguisse ogni mio passo, ogni mio respiro. Sentivo la sua voce parlare di me. Tremavo. Poi un abbraccio, il suo, la sensazione di essere finalmente al sicuro, dove nemmeno il dolore più potente può arrivare. La pace, il profumo che ti fa sentire a casa. Era sempre stato lì, senza che io me ne accorgessi, e qualunque cosa io stessi facendo, lui c'era. Non importava quanta strada o sbagli io stessi facendo, lui era lì, a proteggermi, a vegliare su di me. Quella notte mi strinse forte e promise che non mi avrebbe mai più lasciata. Sarebbe stato lì, accanto a me, in un per sempre che non aveva paura. Fu così che ritrovai mio figlio.
Il coraggio di essere nuda, fragile, autentica. Scegliere. Scegliere, anche per paura, che essere soli sia la cosa migliore, che non ferire e non farsi ferire sia la cura, quando qualcuno sta insieme da una vita solo per perdere tempo, per colmare il vuoto dell'insoddisfazione, per sopraffare l'altro, rincorrendo una vita intera una felicità che non avrà mai, solo per non aver avuto il coraggio di vivere in piena libertà l'altra faccia della medaglia. Così continuano a lamentarsi, continuano ad avere la faccia di dire, di parlarti anche della loro unghia spezzata, mentre ti vedono a terra con le ossa rotte. Ti giudicano, non comprendono. Si chiedono come si possa stare con qualcuno così, in qualche modo "uniti" ma sempre "divisi". E bisogna saper avere palle e cuore per guardare oltre. Bisogna avere anima per saper leggere nel dolore, negli incubi, nella paura, nell'incertezza. E se di incertezza si parla, c'è più instabilità nella mente insana di qualcuno, che nel viversi in questo modo perché, come scrive Sparks, che io adoro, "il giorno e la notte sono legati come poche altre cose al mondo, ma si alternano, sempre uniti, sempre divisi". Eppure sono un bellissimo miracolo.