Quando per un mortale il fragore del giorno cessa e sulla muta città l'ombra traslucida della notte e il sonno che ristora scende già, allora per me s'insinua nel silenzio il tempo del penoso vegliare: e nell'inerzia notturna, della serpe del cuore sento i morsi bruciare. I sogni fervono e da gravi pensieri è oppressa allora la mia mente. Il tacito ricordo davanti a me il suo lungo rotolo distende, e con disgusto leggendo la mia vita, amaramente piango e mi deprimo, amaramente tremo e maledico, ma i tristi versi non sopprimo.
Là dove il mare batte senza sosta contro le rocce solitarie, là dove la luna più calda brilla nell'ora della nebbia serale, dove, negli harem dilettandosi, i giorni passa il musulmano, là una fata, lusingandomi, mi consegnò un talismano. E, lusingandomi, diceva: "custodisci il mio talismano: in esso c'è una forza segreta! Ora è qui nella tua mano. Dalle malattie, dalla tomba, nel minaccioso uragano, la tua testa, amico caro, non salverà il mio talismano. E le ricchezze dell'oriente esso giammai ti donerà, e gli adoratori del profeta esso non ti sottometterà; e in grembo agli amici più cari, da un triste paese lontano, nella tua terra non ti porterà questo mio talismano. Ma quando dei perfidi occhi ti vorranno affascinare, o una bocca nella buia notte ti bacerà senza amare – da nuove ferite del cuore, da ogni desiderio insano, dal tradimento e dall'oblio ti salverà il mio talismano.
Finché Apollo non sacrifica il poeta sul suo altare, nelle pene del vano mondo egli spaurito deve aspettare. È muta la sua sacra lira, l'anima freddi sogni assapora, dei miseri figli della terra, forse egli è più misero ancora. Ma appena la parola divina il sensibile udito toccherà, come un'aquila risvegliata, l'anima del poeta si alzerà. È triste nei trastulli del mondo, fugge via dalla gente chiassosa, davanti all'idolo delle masse non china la testa orgogliosa. Corre, selvaggio e severo, pieno di sgomento e di canti, fin sulle onde del deserto, nel bosco di querce fruscianti.
Nella steppa del mondo, triste e sconfinata, sgorgarono tre fonti come d'incanto: della giovinezza – rapida e ribelle – ribolle, corre, brillando e gorgogliando; la fonte di Castalia che con l'ispirazione nella steppa del mondo gli esuli disseta; l'ultima fonte – la fredda fonte dell'oblio, che più di tutte placa la febbre del poeta.
In un cupo deserto io vagavo dalla sete dello spirito oppresso, ed ecco un serafino con sei ali mi apparve ad un tratto da presso. Lieve come un sogno si avvicinò e gli occhi stanchi mi sfiorò. Si aprirono le profetiche pupille come alle aquile impaurite. Poi toccò le mie orecchie, e di suoni esse furono empite: e vidi in alto degli angeli il volo e udii il cielo che fremeva, e scorsi il moto delle serpi marine e il vinco delle valli che cresceva. Poi si accostò alla mia bocca, strappò la mia lingua veemente, ma frivola, vuota e maligna, e l'aculeo del saggio serpente nella mia bocca agghiacciata ficcò con la destra sanguigna. Poi il petto mi aprì con la spada, ne tolse il mio cuore tremante, e nel petto aperto egli depose un carbone ardente e fiammante. Come salma nel deserto giacevo, ma la voce divina intendevo: "alzati, guarda e ascolta, o profeta, fa ciò che ho scritto nella mente, percorri terre e mari senza tregua, con la parola accendi il cuore della gente".
Un barbaro artista il quadro annerisce di un genio con mano indolente, e il suo disegno iniquo egli traccia su quel quadro assurdamente. Ma, con gli anni, come vecchie scaglie, si stacca l'estraneo colore, e l'opera del genio ci appare nel suo primitivo splendore. Così nell'anima mia travagliata scompaiono gli errori compiuti, e tornano in essa le visioni dei limpidi giorni vissuti.
Ricordo il meraviglioso istante: davanti a me apparisti tu, come una visione fugace, come il genio della pura bellezza.
Nei tormenti di una tristezza disperata, nelle agitazioni di una rumorosa vanità, suonò per me a lungo la tenera voce, e mi apparvero in sogno i cari tratti.
Passarono gli anni. Il ribelle impeto delle tempeste disperse i sogni di una volta, e io dimenticai la tua tenera voce, i tuoi tratti celestiali.
Nella mia remota e oscura reclusione trascorrevano quietamente i miei giorni senza divinità, senza ispirazione, senza lacrime, senza vita, senza amore.
Ma venne dell'anima il risveglio: ed ecco di nuovo sei apparsa tu, come una visione fugace, come il genio della tua pura bellezza.
E il cuore batte nell'inebriamento, e sono per esso risuscitati di nuovo e la divinità e l'ispirazione, e la vita, e le lacrime e l'amore.