A vortice s'abbatte sul mio capo reclinato un suono d'agri lazzi. Scotta la terra percorsa da shembe ombre di pinastri, e al mare là in fondo fa velo più che i rami, allo sguardo, l'afa che a tratti erompe dal suolo che si avvena. Quando più sordo o meno il ribollio dell'acque che s'ingorgano accanto a lunghe secche mi raggiunge: o è un bombo talvolta ed un ripiovere di schiume sulle rocce. Come rialzo il viso, ecco cessare i tagli sul mio capo; e via scoccare verso le strepeanti acque, frecciate biancazzurre, due ghiandaie.
Padre vinto nel sonno oscuro e lontano, il bambino ti sveglia con la mano. Ancora nato nel tuo sogno chiede ricordo dell'età che ti correva giovane agli occhi, mesto al sollievo della sua sembianza non vuole che tu creda la morte buia nell'eternità. Era così soave il cielo intorno, a respiro e a cadenza della sera tu mi portavi in braccio al sonno fresco di primavera. Forse è questo la morte, un ricordare l'ultima voce che ci spense il giorno.
Boccaccio era il portiere, il gran portiere giallo della squadra del quartiere. Stava all’erta come un gallo
sulla porta del campetto alla periferia. Diceva: "Qua sul petto, ed ogni palla è mia".
Ma quel giorno, chi lo sa, sbuca di qua sbuca di là - Boccaccio attento! - pa pa la palla è in rete. "Ma va, ma va, Boccaccio, è uno".
Attento, di qua di là, passa non passa, tira. Boccaccio si rigira; si tuffa - passerà?- "Qui non passa nessuno", ma la palla è nel sacco.
E son due. Lo smacco, i fischi, e poi sotto... "Salta a pugno, Boccaccio, ma non la vedi dov’è, salta, salta"... E son tre.
E quattro e cinque e sei. - Boccaccio dove sei?- E sette e otto e nove e piove e piove e piove con grandine e con tuoni. Quattordici palloni nella rete di Boccaccio poveretto poveraccio, bianco come uno straccio col berretto da fantino ubriaco senza vino.
Quanti fischi! e poi "cretino", "pastafrolla", "posapiano", "tappabuchi", "moscardino!" Oh, quel povero Boccaccio nella furia del baccano si strappava i suoi capelli e la folla dai cancelli gli gridava: "Ancora, ancora".
Tutti tutti, ad uno ad uno si strappò capelli e baffi e poi schiaffi sopra schiaffi si ridette per lezione. Restò lì con la sua testa tonda, liscia come palla. "Oh, son quindici con questa - gli gridò dietro la folla - tappabuchi, pastafrolla vai a guardia d’un portone!"
E difatti il buon Boccaccio col berretto e col gallone, mani pronte e spazzolone, oggi è a guardia d’un portone dove passano persone che fermare egli non può, dieci venti cento e più.
Io vedo i grandi alberi della sera che innalzano il cielo dei boulevards, le carrozze di Roma che alle tombe dell'Appia antica portano la luna.
Tutto di noi gran tempo ebbe la morte.
Pure, lunga la vita fu alla sera di sguardi ad ogni casa, e oltre il cielo, alle luci sorgenti ai campanili ai nomi azzurri delle insegne, il cuore mai più risponderà?
Oh, tra i rami grondanti di case e cielo il cielo dei boulevards, cielo chiaro di rondini!
O sera umana di noi raccolti uomini stanchi uomini buoni, il nostro dolce parlare nel mondo senza paura.
Tornerà tornerà, d'un balzo il cuore desto avrà parole? Chiamerà le cose, le luci, i vivi?
Appare volontà quel che fu caso, un eterno momento, ma l'occhio il naso suggellò veloce e la bocca nel vento ambigua errò per voce che sempre può parlare.
Questo il ritratto e questo è il mare, un rudere che striscia nel suo vecchio calore.
Così dall'ombra mosse una piccola biscia fuggendo il suo colore. Apparvero le fosse dei morti, il grigioverde dei topi e dei soldati.
Ha i minuti contati la morte che perde e moltiplica i piedi. Nel sole che vedi è il sole che langue, il formicaio del sangue.