Conzacareghe, Caregheta (Impagliatori di seggiole, Seggiolai)
Riva riva i caregheta che i é cofà 'na società segreta, i à 'n dèrego che sol che lori i sa e 'na sior'Ana che sol che lori i sa: eco 'l primo che 'l passa, l'inpaja la carega e inte la paja'l ghe assa una renga che 'l gat sgrifarà via, cussì quel che vien dopo, bon colega, catarà 'na carega anca lu da inpajar, e così sia.
Arrivano, arrivano i seggiolai che formano tra loro quasi una società segreta, usano un gergo che solo loro conoscono e hanno un vuoto in pancia che loro soli sanno: ecco il primo che passa, impaglia la sedia e tra la paglia lascia un'aringa che il gatto strapperà via, così chi verrà dopo, buon collega, troverà una sedia anche lui da impagliare, e così sia.
Pasqua ventosa che sali ai crocifissi con tutto il tuo pallore disperato, dov'è il crudo preludio del sole? E la rosa la vaga profezia? Dagli orti di marmo ecco l'agnello flagellato a brucare scarsa primavera e illumina i mali dei morti pasqua ventosa che i mali fa più acuti
E se è vero che oppresso mi composero a questo tempo vuoto per l'esaltazione del domani, ho tanto desiderato questa ghirlanda di vento e di sale queste pendici che lenirono il mio corpo ferita di cristallo; ho consumato purissimo pane
Discrete febbri screpolano la luce di tutte le pendici della pasqua, svenano il vino gelido dell'odio; è mia questa inquieta Gerusalemme di residue nevi, il belletto s'accumula nelle stanze nelle gabbie spalancate dove grandi uccelli covarono colori d'uova e di rosei regali, e il cielo e il mondo è l'indegno sacrario dei propri lievi silenzi.
Crocifissa ai raggi ultimi è l'ombra le bocche non sono che sangue i cuori non sono che neve le mani sono immagini inferme della sera che miti vittime cela nel seno.
Da questa artificiosa terra-carne esili acuminati sensi e sussulti e silenzi, da questa bava di vicende - soli che urtarono fili di ciglia ariste appena sfrangiate pei colli - da questo lungo attimo inghiottito da nevi, inghiottito dal vento, da tutto questo che non fu primavera non luglio non autunno ma solo egro spiraglio ma solo psiche, da tutto questo che non è nulla ed è tutto ciò ch'io sono: tale la verità geme a se stessa, si vuole pomo che gonfia ed infradicia. Chiarore acido che tessi i bruciori d'inferno degli atomi e il conato torbido d'alghe e vermi, chiarore-uovo che nel morente muco fai parole e amori.
Dicevano, a Padova, "anch'io" gli amici "l'ho conosciuto". E c'era il romorio d'un'acqua sporca prossima, e d'una sporca fabbrica: stupende nel silenzio. Perché era notte. "Anch'io l'ho conosciuto". Vitalmente ho pensato a te che ora non sei né soggetto né oggetto né lingua usuale né gergo né quiete né movimento neppure il né che negava e che per quanto s'affondino gli occhi miei dentro la sua cruna mai ti nega abbastanza
E così sia: ma io credo con altrettanta forza in tutto il mio nulla, perciò non ti ho perduto o, più ti perdo e più ti perdi, più mi sei simile, più m'avvicini.