La mia fede è un carico enorme appeso a un filo sottile, proprio come un ragno appende i suoi piccoli a una tela fine, proprio come dalla vite, esile e rigida, pendono grappoli come occhi, come molti angeli danzano su una capocchia di spillo.
Dio non chiede troppo filo per restare qui; solo una venuzza e sangue che vi scorra e un po' d'amore. Come qualcuno ha detto: l'amore e la tosse non si possono nascondere. Neppure un colpetto di tosse neppure un amore minimo. Perciò se hai solo un filo sottile a Dio non importa: Lui te lo troverai tra le mani facilmente proprio come una volta con dieci centesimi ti potevi prendere una Coca.
A novembre compio trent'anni. Sei ancora piccola, hai solo tre anni. Guardiamo le foglie gialle, sono stremate, turbinano nella pioggia d'inverno, cadono e s'acquattano. Ed io ricordo i tre autunni che non hai passato qui. Hanno detto che mai ti avrei riavuto. Ti dico quel che mai saprai davvero: le congetture mediche che spiegano il cervello non saranno mai reali quanto queste foglie abbattute.
Io, che ho tentato due volte d'ammazzarmi, ti avevo dato un nomignolo appena arrivata, nei mesi del piagnucolare; poi una febbre t'è rantolata in gola ed io mi muovevo come una pantomima attorno al tuo capino. Angeli brutti mi hanno parlato. La colpa, dicevano, era mia. Facevano gli spioni come streghe verdi versando nella testa la rovina come un rubinetto rotto; come se la rovina avesse allagato la pancia e sommerso la culla, un vecchio debito che dovevo accollarmi.
La morte era più semplice di quanto credessi. Il giorno che la vita t'ha restituito sana e salva Ho lasciato le streghe rapire la mia anima in colpa. Ho finto d'esser morta finché uomini bianchi m'hanno spompato il veleno, m'hanno messo senza braccia e slavata nella manfrina di scatole parlanti e letti elettrici. Ridevo a vedermi messa ai ferri in quell'hotel. Oggi le foglie gialle sono stremate. Mi chiedi dove vanno. Ti dico che l'oggi ha creduto in se stesso, altrimenti cedeva.
Oggi, piccina mia, Gioia, ama il tuo essere dove adesso vive. Non esiste un Dio speciale cui rivolgersi; o se c'è, allora perché t'ho fatto crescere altrove. Tu non riconoscevi la mia voce quando tornavo a casa a trovarti. Tutti i superlativi di alberi di Natale e vischi del futuro non ti aiuteranno a sapere le feste che hai perduto. Nel tempo che non amai me stessa venni in visita a te su marciapiedi spalati, mi tenevi per un guanto. Dopo questo fu di nuovo neve.
2.
Mi hanno spedito lettere con tue notizie e io cucivo mocassini che non avrei mai usato. Quando cominciai a sopportarmi andai a stare con la mamma. Troppo tardi, troppo tardi, dissero le streghe, per stare con la mamma. Non me ne sono andata. Ma un ritratto mi son fatto.
Dal manicomio nel parziale ritorno venni alla casa di mia madre a Gloucester. Ed ecco come venni ad abbrancarla, ed ecco come venni a perderla. Mia madre disse, per il suicidio io non posso dar perdono. Non l'hai mai potuto. Ma un ritratto lei m'ha fatto.
Ho vissuto da ospite rabbioso, parzialmente rammendata, bimba esorbitante. Ricordo che mia madre faceva del suo meglio. Mi portò a Boston per farmi cambiare il taglio. Sorridi come tua madre, disse il capocciante. Non mi pareva interessante. Ma un ritratto mi son fatto.
C'era una chiesa là dove sono cresciuta, là in bianchi armadi fummo inchiavati come coro di marinai, o puritani, irreggimentati. Mio padre passava col piattino per la questua. Dissero le streghe, troppo tardi per esser perdonata. E non fui propriamente perdonata. Ma un ritratto m'hanno fatto.
3.
Quell'estate gettiti irrigui s'inarcavano a pioggia sull'erba rivierasca. Parlavamo di siccità mentre il prato corroso dal salmastro nuovamente raddolciva. Per passare il tempo falciavo l'erba e la mattina mi facevo fare il ritratto, fissando il sorriso nella formalità. Ti ho spedito il disegnino di un coniglio, e una cartolina col Motif number one come se fosse normale essere madre ed essersene andata.
Hanno appeso il ritratto nella fredda luce del lato nord, che bene mi si addice, per farmi stare bene. Soltanto mia madre s'ammalò. Mi volse le spalle, come se la morte contagiasse, come se la morte si riflettesse, come se il mio morire l'avesse corrosa. Ad agosto avevi due anni, ma era dubbio il calcolo dei giorni. Il primo settembre mi guardò in faccia e mi disse che le avevo attaccato il cancro. Le mozzarono le colline dolci e ancora non avevo la risposta.
4.
Quell'inverno lei tornò parziale ritorno alla sterile suite di medici, nauseante crociera di raggi X, l'aritmetica delle cellule impazzita. Parziale intervento, braccio grasso, prognosi infausta, li ho sentiti dire.
Durante le burrasche marine lei si fece fare il ritratto. Caverna di uno specchio, appeso al lato sud; una coppia di sorrisi, una copia di lineamenti. E tu mi assomigliavi sconosciuto viso mio, tu lo indossavi. Dopotutto eri mia.
Ho svernato a Boston, sposa senza figli, niente di dolce da spartire, con le streghe a fianco. Ho perduto la tua infanzia, tentato un altro suicidio, subito il secondo hotel dei sigilli. M'hai fatto un Pesce d'Aprile. Abbiamo riso insieme, fu cosa buona.
5.
Per l'ultima volta m'hanno dimesso il primo maggio; laureata in casi mentali, con l'assenso dell'analista, un libro finito di versi, la macchina da scrivere e le borse.
Quell'estate imparai a rimettere vita nelle mie sette stanze, andavo su barchette a cigno, al mercato, rispondevo al telefono, da brava moglie offrivo da bere, facevo l'amore fra crinoline e abbronzature d'agosto.
E tu venivi ogni weekend. No, mento. Venivi di rado. Fingevo che c'eri bimba farfalla, porcellina guance di gelatina, tre anni di disobbedienza, ma splendida sconosciuta.
E dovevo imparare perché volevo morire invece che amare, perché mi faceva male la tua innocenza, e perché accumulo le colpe come un giovane internista rivela i sintomi e la certa evidenza.
Quel giorno d'ottobre che andammo a Gloucester le colline rosse mi ricordavano la pelliccia di volpe rossa sdrucita in cui giocavo da bambina, immobile come un orso, una tenda, una gran caverna che ride, pelliccia di volpe rossa.
Oltrepassammo il vivaio dei pesci, il baracchino dove vendono l'esca, Pigeon Cove, lo Yacht Club, Squall Hill, verso la casa in attesa ancora, la casa sul mare. E due ritratti sono appesi su opposte pareti.
6.
Al lato nord il mio sorriso al suo posto è fissato, risalta nell'ombra il mio viso ossuto. Mentre posavo lì cosa avevo sognato tutta me negli occhi in attesa, il giovane viso, la zona del sorriso, trappola per volpi.
Al lato sud il suo sorriso al suo posto è fissato, le guance vizze come orchidee appassite; mio specchio beffardo, mio amore spodestato, mia immagine prima. Mi occhieggia dal ritratto quella testa di morte impietrita che avevo sopraffatto.
L'artista ci fissò alla svolta; si sorrideva inquadrate nelle tele prima di scegliere strade da prima separate. La pelliccia di volpe rossa doveva esser bruciata. Mi decompongo sulla parete come Dorian Grey.
E questa fu caverna di uno specchio, una donna sdoppiata che si fissa come se il tempo l'avesse impietrita - due signore in terra d'ombra assise - Hai dato un bacio alla nonna, e lei ha pianto.
7.
Non potevo tenerti tranne il weekend. Ogni volta venivi stringendo il disegnino del coniglio che ti avevo spedito. Per l'ultima volta disfo i tuoi bagagli. Ci tocchiamo senza un contatto. La prima volta hai chiesto il mio nome. Ora rimani per sempre. Dimenticherò che sbalzavamo cozzandoci come marionette appese a fili. Non era l'amore ridursi al weekend. Ti sbucci le ginocchia, impari il mio nome, traballando sul marciapiede piangi e chiami. Mi chiami mamma e ricordo ancora mia madre, che altrove, nei dintorni di Boston, muore.
Ricordo che ti chiamammo Gioia per poterti chiamare gioia. Arrivasti come un ospite imbarazzato allora, tutta fasciata umida meraviglia alla mia mammella pesante. Avevo bisogno di te. Non volevo un maschio, solo una femmina, un topino lattoso di bimba, da sempre amata, da sempre esuberante nella casa di se stessa. Ti chiamammo Gioia. Io, che non fui mai certa d'esser femmina, avevo bisogno di un'altra vita, di un'altra immagine per ricordarmi. E fu questa la mia più grave colpa; tu non potevi curarla o lenirla. Ti ho fatta per trovarmi.
La città non esiste se non dove un albero dai capelli neri scivola via, come una donna annegata nel cielo caldo. Tace, la città. Bolle la notte, con dieci e una stella. Oh notte stellata, stellata notte! È così che voglio morire.
Si muove. Sono tutti quanti vivi. Quando la luna rompe le catene arancioni che la legano e spruzza bambini dai suoi occhi, come un dio, il vecchio serpente, senza esser visto divora le stelle. Oh stellata notte, notte stellata! È così che voglio morire:
in questa strisciante bestia notturna, risucchiata tutta dentro nel grande drago, separata dalla mia vita senza una bandiera, senza pancia né grido.
Come dicono i pompieri, non prendete mai camere oltre il quinto piano negli hotel di New York: ci sono scale che vanno piú su ma nessuno ci salirebbe. Come dice il "New York Times", l'ascensore cerca sempre da sé il piano in fiamme e si apre automaticamente e non si chiude piú. Sono questi gli avvisi che dovete dimenticare se volete uscire da voi stessi fino a catapultarvi in cielo.
Sono andata spesso oltre il quinto piano salendo a manovella, ma solo una volta andai fino in cima. Sessantesimo piano: cigni e pianticelle piegàti verso la propria tomba. Duecentesimo piano: montagne con la pazienza di un gatto, il silenzio in scarpe da tennis. Cinquecentesimo piano: messaggi e lettere millenari, uccelli da bere, una cucina di nuvole. Seicentesimo piano: le stelle, scheletri in fiamme con le braccia che cantano. E una chiave, una chiave enorme, che apre qualcosa (qualche utile uscio) da qualche parte, lassú.
Una donna che scrive è troppo sensibile e sensuale, quali estasi e portenti! Come se mestrui bimbi ed isole non fossero abbastanza, come se iettatori e pettegoli e ortaggi non fossero abbastanza. Crede di poter prevedere gli astri. Nell'essenza una scrittrice è una spia. Amore mio, così io son ragazza. Un uomo che scrive è troppo colto e cerebrale, quali fatture e feticci! Come se erezioni congressi e merci non fossero abbastanza; come se macchine galeoni e guerre non fossero già abbastanza. Come un mobile usato costruisce un albero. Nell'essenza uno scrittore è un ladro. Amore mio, tu maschio sei così. Mai amando noi stessi, odiando anche le nostre scarpe, i nostri cappelli, ci amiamo preziosa, prezioso. Le nostre mani sono azzurre e gentili, gli occhi pieni di tremende confessioni. Ma quando ci sposiamo ci abbandoniamo ai figli, disgustati. Il cibo è troppo e nessuno è restato a mangiare l'estrosa abbondanza. "
Certe donne sposano una casa. Altre pelle, altro cuore altra bocca, altro fegato altra peristalsi. Altre pareti: incarnato stabilmente roseo. Guarda come sta carponi tutto il giorno a strofinar per fedeltà a se stessa. Gli uomini c'entrano per forza, risucchiati come Giona in questa madre ben in carne. Una donna È sua madre. Questo conta.