Per le porte che si aprono, grazie. Al cielo porto di stelle colmi gli occhi e le grazie leggiadre d'ogni amore provato, scolpito nelle notti di dicembre e di febbraio. Se lo stelo del fiore fosse sempre così rigoglioso, s'aprirebbero le porte degli arcobaleni, occhi d'angelo per il cavo tra i telefoni. Passo orgoglioso per le porte e se si chiudono è solo dietro, tra le fosse di pozzanghere asciutte. E sogni, suoni col mi tra l'armonica e la bocca. Per le porte le voci della parola cantata, scritta e poi parlata. Scavo fin nell'angolo che non sei e lo vedo, scolpito, ogni amore passato per la sorte.
Sentii il suo sguardo posarsi sulle mie spalle, passero sul ramo di castagno e i passi lenti delle mie braccia seguire assorto chiamando a sé ogni respiro tra la sua e la mia voce. E quando il colore del vento nella notte tinse di giallo la sciarpa sciolta sulle labbra aprendo- si in un bacio, osservarono i capelli un ossequioso minuto di piroette in castano ramato, i fianchi poi un ondeggiare maliardo tra le strade in croce. Al semaforo mi cingevi ancora di giallo le spalle.
Non una foto dalla lontana miglia e miglia Spoon River, solo piume bianche di leggere creature di mare e foglie nel cuore come panche segnate dalle vite nella città, nei boschi. Tu lì, tu allora. Nei passi la collera d'anni foschi tra una conchiglia e l'altra sulla riva e Johnatan Livingstone sulle nostre teste a misurare l'idea dell'amore. E volava con lui tutto l'essere e il niente.