Datemi un bosco, una notte senza grilli, Un Gelso delle radici secolari che sdracare sia la sfida perché l'amore un tempo fu un espianto, muscoli offerti a trafficanti d'organi polacchi o forse svizzeri, non ricordo.
Dentro le notti insolenti in due viaggiavamo sopra una vespa nella boscaglia che costeggiava l'argine a fari spenti come temerari infanti che si sollazzavano con prove di forza sentimentale. Fu caro il prezzo all'oste e amaro ogni boccone. Foglie d'ulivo che ingoiavo o sotto la lingua trattenevo pur di non sentire l'aspro tuo saluto, bacio sulla fronte a quella principessa che fottevi con grazia divina concessati in uso.
Suggestivo, un riflesso senza precedenti. Uno specchio infranto mi seziona in parti disuguali. E la mia faccia è una goccia sospesa, uno strano connubio di espressioni che non necessitano di bocche come ventose né occhi pieni di buio e notte. Sguardi... glaciali che scavano distanze che guardano la vita dalle orbite di un teschio. Non siamo mai stati niente insieme, non eravamo neanche briciole di storia. Parole nell'aria che spiegavano le ali, s'aprivono insolenti per catturare le correnti ascensionali di questo nostro giro di promesse che scrivevamo sulle vertebre già infrante dell'indegno complice di sua maestà l'Amore.
Obnubilato da triviale mestiza, io odio ciò che appare arrangiato. La vita non s'abbozza non il resto d'un affare. No si vende nulla a casa mia, ... men che meno si slinguano le idee quelle stanno accanto ai narcisi sul balcone amanti dalla grazia cardiopatica da indurre invidia a chi fatica a trovare una collocazione certa. Apicale pusillanimità, vertice scontro per munifici ingordi che confondono la quantità satolla d'un abbuffata senza argenterie e cristalli. No, a questa tavola non m'ingozzo neanche dietro invito in pergamena. La mancanza d'eleganza è un esecrabile peccato: imperdonabile come il disconoscere che le perle stanno bene solo se hai un collo lungo e un tubino nero.