Settembre rimette in ordine ogni cosa: il vestito della solita che si sposa a giugno il mugugno dell'emigrato sullo Stretto. Prelude sopore ai gechi sui muretti, Anneriti dalla caligine dei tanti barbecue. Scende in silenzio, soffia sulle fiaccole di amori e Frutti e profilattici umilianti. Settembre li raccatta mentre gusta una frazione iniqua d'anime fuggevoli. Di più, bagnate mani dalle onde divine se a coppe, eremo dei nostri umori, maschere di follia che settembre stacca. Perché non saprai mai quanto è predatore: mercante di fumo e apostata di ghiaccio. Guardo le mie mani che il suo aratro solca e i miei meati e le mie bambine, randagie stelle, conforto senza fine, fuggite vie da un firmamento d'ombre, in un settembre che riordina ogni cosa.
Ti ho vista dalla vetta del dolore che ora posso darmi da me stesso. Ho visto la morente larva d'un amore dentro il tuo corpo diviso in due martìri. Non puoi più farmi male, solo io posso e sanguino di più. Dovevamo strapparci i petali, a suo tempo, e ben strette tenerci le corolle. Dovevamo evitare di sognarci; non ho dormito più per la paura che ne facessi baratti con penosi orgasmi. Dalla vetta del dolore, sanguinante, ti guardo su un colle mentre mangi avanzi d'un pasto che hai messo in formalina. Piango e t'ascolto come un'eco: "Dovevamo strapparci i petali, a suo tempo, e ben strette tenerci le corolle."
China di virtù e di difetti la po' pigghiari pi lu versu giustu, si la vasata e li tò sacchetti sunnu comu un ritrattu a mezzu bustu. Sapi chi l'omu n'avi di bisognu pi amuri, pi lu pacchiu e sirvimentu ti strica li spaddri si ti fa lu bagnu e la notti, di la so vucca, duci lamentu. Po' esseri vecchia, mizzana o picciutteddra Ma c'è pocu da fari quannu è beddra. Curiusa ma ti runa lu so amuri, e spissu l'omu lassa la vasteddra. Ti porta n'ta stu munnu cu duluri e la sò minna, ti la metti m'ucca pì quantu t'è concessu di campari. La fimmina è chissa n'un si iapi vucca. Amu chi brilla s'un ci metti l'isca, chi s'iddra voli ti sputa e po' t'ammucca: ammatula curriri chi ti veni a pisca. Ma pi l'amuri, pì la sò devozioni, pì tornacuntu o chiddru chi s'ammisca, la trovi sula cu li tribolazioni. E niatri masculi cu la canna n'manu vulissimu piscari nà balena quannu chi semu pisci di tianu. Onesta o buttana: nuddru lu po' diri. Mancu lu preti trantu comu un sceccu chi cu la tonaca stessa si la disìa ficcari. E nuddru po' diri o si po' diri beccu, chì, comu di niatri, si voli arrassari pari a li nutrica chiancemu di duluri.
Rigido ceppo, tocco dolce e aguzzino in magiche pareti umide e dolci, come ogni bambino nasce Pinocchio. Il tuo nasino, teste del candore per ogni bugia, Non ha curve perverse: sboccia e appassisce come un fiore, innocuo come bisce sulla gelata roccia. Tutti eravamo Pinocchio: marmocchi dall'identico nasino; gaudiose voci protese nell'incanto della semplicità di pane e noci. Quanti Pinocchio ora sono adulti a maneggiare ceppi e crearne ancora magari per offrirli a Mangiafuoco? Vedi quanti nasi sono atrofizzati Per non "ungere" con l'olio il testimone? Siamo dei ciechi gatti e claudicanti volpi Abbiamo ucciso anche la tua balena. Popoliamo miracolosi campi; fiamme per le morbide falene, calappi per "virgulti".
Quale lama può tagliare il filo, distorcere il tuo profilo, le locandine delle tue virtù che mi impediscono di dimenticarti? Le frasi di un amore tanto testardo pieno di cenci, di pedine mosse male di quello che non vale di ascoltare? Il mio non è codardo come chi mente. Guarda lo specchio: brulica la tua faccia d'insetti e di serpenti. Il secchio delle nostre anime gocciola da qualche parte ma ne raccoglierò le tracce, riponendole dopo averlo riparato. L'uomo che hai amato e tanto ami pagherà il debito insolente e andrà via. È il presente nascosto, non il passato; Come il dente caduto dà lacrime a un bimbo, un altro, saldo, prima o poi le asciuga; Non vado più a ritroso né più avanti. Solo i pezzenti svuotano le mano per riempirle ancora. Io solo di te le ho riempite Ti ho stretta forse troppo, e lo farei in eterno. Ora, nell'inverno delle tue follie, credi che sia l'opposto distruggere poesie alle libertà profuse o alle incerte vie. E le mie lacrime, di contro, per te gioiose Se tanto vuoi, scioglieranno la morsa: lunga appendice di monografie tediose. Libera nel vuoto, danza immotivata, melodia da tutti sconosciuta, dessert stantio, ultima portata nel prosaico del tutto e del tuo niente. Ladra saccente, brillante vanesia. La follia in un piacere folle: gli abiti che cingi chi potrà alterarli?
Luna, cosa t'hanno fatto... Bandiere e orme appena fossi un clown. Hanno rubato sabbia, sassi e sogni; potevano, in gabbia, adesso in uno zoo, o accanto ad un falò senza il tuo cielo. Un tempo nutrice dolce degli artisti, mammelle colme di versi e di leggende: orride, piccanti e misteriose, specchio di donne, bagliori di bellezze. E come tale riscaldi a modo tuo. Dispensi lacrime e partorisci amori colori gli iridi di chi ti sa guardare... Ciascuno col suo nodo al fazzoletto, per ricordare cosa t'hanno fatto.