Lunedì lunatico. L'una di notte di una notte senza luna.
Tra le braccia dell'oscurità l'unico punto di luce è un granello di sabbia di una clessidra che consegna il presente al passato sospesa tra il soffitto e il pavimento qui dove i muri hanno il colore del vento.
Scatola di latta, profumo di gelsomino, album di foto ingiallite e silenti.
Ecco... le prime gocce di pioggia, fanno il solletico al davanzale della mia finestra azzurra.
Una vita da clown. Seduto su una goccia di rugiada che scivola lenta a filo d'erba faccio collezione di attimi e li raccolgo in carillon a forma di cuore.
Arcobaleni in bianco e nero collegano sogni a spicchi di cielo.
Ci siamo quasi, tutto pronto. Tempo qualche istante e toccherà di nuovo a me. Il mio numero tra il domatore di leoni e l'equilibrista. E non è un caso. Ho imparato da entrambi.
L'orchestrina scarta le prime caramelle di note. Luci e timidi applausi. Adesso.
Non ricordavo chiusa a chiave questa porta. In verità non ricordavo nemmeno che fosse così impietosamente rovinata dal tempo, ora che, immobile come stessi osservando un quadro, percorro con gli occhi la sua superficie opaca e colgo le sue imperfezioni di stato e colore.
Quante mani, oltre le mie, toccarono più o meno decise quella maniglia d'ottone luccicante e perfetta, la stessa che io oggi vedo spenta, silenziosa, ordinaria, come una figura lontana che si confonde tra la folla in un pomeriggio invernale di pioggia scrosciante.
Quante volte (tante, per poterle racchiudere in una parola) varcai quella soglia, nell'andare o nel venire, spesso con convinzione, a volte esitando, quasi sempre in modo linearmente scontato, portando con me il solo bagaglio dell'essere e sentirmi in quell'esatto giorno della vita e del mondo.
Una porta ormai chiusa a chiave, un tempo eroina e testimone di storie senza polvere.
Vorrei incidere sul tuo legno la parola "grazie" ed anche "scusami" per non aver compreso a fondo l'importanza e l'irripetibilità di ogni mio singolo passaggio ma non lo farò, poiché non basterebbe a pareggiare ciò che tu, con misterioso rispetto, hai inciso sul mio cuore.
La forma del vento di montagna, l'aroma di una notte d'autunno in collina, il colore delle vetrate di un'antica chiesa.
Le orme irregolari nella sabbia dorata, le voci da lontano la domenica mattina, i semi di zucca raccolti nel tovagliolo di stoffa.
Il tuo camminare tra la folla, sui marciapiedi dell'esistenza. Riconoscere di te il passo, l'abito, l'essenza. Esattamente là, in quel punto infinito alla fine dei miei occhi chiusi al resto del mondo.
Perché l'ultima neve di primavera non si è mai sciolta alle calde carezze di questi giorni di sole?
Non dimentico i soffici pomeriggi di marzo e quelli d'ottobre con lo stesso tiepido sole a scriver pagine di ricordi tra le braccia polverose del tempo che, inesorabilmente, lascia orme sul sentiero finito che "loro" chiamano vita. E chiudo gli occhi col viso rivolto al cielo... magie colorate d'abbracci e sorrisi danzano nella mia mente. E poi visi, voci e rumori antichi, tanto lontani nel tempo, quanto dolci alla memoria. Un brivido mi attraversa, stilettata a spaccar l'anima in due. Stanze vuote, silenzio, aria gelida. Anche le statue hanno smesso di muoversi ora che il vento non sussurra più il tuo nome.
Profumo di festa, aroma antico e nuovo, lascio ai miei sensi l'inebriarsi atteso senza cercare altra via di fuga che giammai troverei nell'incanto dell'istante. Occhi che ascoltano sottili forme d'intorno, voci dappresso, echi remoti, sussurri di stelle ed isole nel cielo, il pane caldo nella cesta di vimini. Ai piedi del monte, carezza all'improvviso, vedo aprirsi uno scorcio di paradiso tra la fitta vegetazione ombrosa ancor bagnata dalla rugiada del mattino. Non c'è tempo per partire, non c'è tempo per restare. Qui dove il tempo si è fermato a fare il pieno il vento racconta favole di luci ed ombre. Feux d'artifice, meraviglia senza fine, il mio nome è scritto su una nuvola, chiudo la porta della stanza del mondo, dacché il mio mondo è tutto in questa stanza.
Come brezza leggera nell'ultimo giorno d'estate che delimita il confine che segna il passaggio. Come pioggia sottile sull'ombelico dell'autunno di un frutto ancora fiore d'una meta senza strada. Come freddo pungente dal camino spento dell'inverno tra lenti pomeriggi stanchi tra rami troppo magri e tristi. Come fiore sorridente nell'azzurro cielo di primavera per cuori ancora indaffarati per pagine scritte a matita. Caleidoscopio di pensieri parcheggiati in doppia fila tra le righe del giorno nei pressi di un incrocio senza semaforo.