Poesie di Camillo Sbarbaro

Scrittore e poeta, nato giovedì 12 gennaio 1888 a Santa Margherita Ligure (Italia), morto martedì 31 ottobre 1967 a Savona (Italia)
Questo autore lo trovi anche in Frasi & Aforismi e in Frasi per ogni occasione.

Padre che muori tutti i giorni un poco

"Padre che muori tutti i giorni un poco,
e ti scema la mente e più non vedi
con allargati occhi che i tuoi figli
e di te non t'accorgi e non rimpiangi -
se penso la fortezza con la quale
hai vissuto; il disprezzo c'hai portato
a tutto ciò che è piccolo e meschino;
sotto la rude scorza
il tuo candido cuore di fanciullo;
il bene c'hai voluto alla tua madre,
alla sorella ingrata,
a nostra madre morta;
tutta la vita tua sacrificata
e poi ti guardo come ora sei,
io mi torco in silenzio le mani.

Contro l'indifferenza della vita
vedo inutile anch'essa la virtù
e provo forte come non ho mai
il senso della nostra solitudine.

Io voglio confessarmi a tutti, padre,
che ridi se mi vedi e tremi quando
d'una qualche premura ti fa segno,
di quanto fui codardo verso te.

Benché il rimorso mi si alleggerisca,
che più giusto sarebbe mi pesasse
sul cuore, inconfessato...
io giovinetto imberbe ti guardai
con ira, padre, per la tua vecchiezza...
stizza contro te vecchio mi prendeva...

padre che ci hai tenuto sui ginocchi
nella stanza che s'oscurava,
in faccia alla finestra,
e contavamo i lumi
di cui si punteggiava la collina
facendo gara a chi vedeva primo -
perdono non ti chiedo con le lacrime
che mi sarebbe troppo dolce piangere
con quelle più amare te lo chiedo
che non vogliono uscire dai miei occhi.

Una cosa soltanto mi conforta
di poterti guardare a ciglio asciutto:
ti ricordi che piccolo, al pensiero
che come gli altri uomini dovevi
morire pure tu, il nostro padre,
solo e zitto nel mio letto la notte
io di sbigottimento lacrimavo.
Di quello che i miei occhi ora non piangono
quell'infantile pianto mi consola,
padre, perché mi par d'aver lasciato
tutta la fanciullezza in quelle lacrime.

Se potessi promettere qualcosa
se potessi fidarmi di me stesso
se di me non avessi anzi paura,
padre, una cosa ti prometterei:
di viver fortemente come te
sacrificato agli altri come te
e negandomi tutto come te,
povero padre, per la fiera gioia
di finir tristemente come te.
Camillo Sbarbaro
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    Scritta da: Pedra

    Liguria

    Scarsa lingua di terra che orla il mare,
    chiude la schiena arida dei monti;
    scavata da improvvisi fiumi; morsa
    dal sale come anello d'ancoraggio;
    percossa dalla farsa; combattuta
    dai venti che ti recano dal largo
    l'alghe e le procellarie
    - ara di pietra sei, tra cielo e mare
    levata, dove brucia la canicola
    aromi di selvagge erbe.
    Liguria,
    l'immagine di te sempre nel cuore,
    mia terra, porterò, come chi parte
    il rozzo scapolare che gli appese
    lagrimando la madre.
    Ovunque fui
    nelle contrade grasse dove l'erba
    simula il mare; nelle dolci terre
    dove si sfa di tenerezza il cielo
    su gli attoniti occhi dei canali
    e van femmine molli bilanciando
    secchi d'oro sull'omero - dovunque,
    mi trapassò di gioia il tuo pensato
    aspetto.

    Quanto ti camminai ragazzo! Ad ogni
    svolto che mi scopriva nuova terra,
    in me balzava il cuore di Caboto
    il dì che dal malcerto legno scorse
    sul mare pieno di meraviglioso
    nascere il Capo.

    Bocconi mi buttai sui tuoi fonti,
    con l'anima e i ginocchi proni, a bere.
    Comunicai di te con la farina
    della spiga che ti inazzurra i colli,
    dimenata e stampata sulla madia,
    condita dall'olivo lento, fatta
    sapida dal basilico che cresce
    nella tegghia e profuma le tue case.
    Nei porti delle tue città cercai,
    nei fungai delle tue case, l'amore,
    nelle fessure dei tuoi vichi.
    Bevvi
    alla frasca ove sosta il carrettiere,
    nella cantina mucida, dal gotto
    massiccio, nel cristallo
    tolto dalla credenza, il tuo vin aspro
    - per mangiare di te, bere di te,
    mescolare alla tua vita la mia
    caduca.
    Marchio d'amore nella carne, varia
    come il tuo cielo ebbi da te l'anima,
    Liguria, che hai d'inverno
    cieli teneri come a primavera.
    Brilla tra i fili della pioggia il sole,
    bella che ridi
    e d'improvviso in lagrime ti sciogli.
    Da pause di tepido ingannate,
    s'aprono violette frettolose
    sulle prode che non profumeranno.

    Le petraie ventose dei tuoi monti,
    l'ossame dei tuoi greti;
    il tuo mare se vi trascina il sole
    lo strascico che abbaglia o vi saltella
    una manciata fredda di zecchini
    le notti che si chiamano le barche;
    i tuoi docili clivi, tocchi d'ombra
    dall'oliveto pallido, canizie
    benedicente a questa atroce terra:
    - aspri o soavi, effimeri od eterni,
    sei tu, terra, e il tuo mare, i soli volti
    che s'affacciano al mio cuore deserto.

    Io pagano al tuo nume sacrerei,
    Liguria, se campassi della rete,
    rosse triglie nell'alga boccheggianti;
    o la spalliera di limoni al sole,
    avessi l'orto; il testo di garofani,
    non altro avessi:
    i beni che tu doni ti offrirei.
    L'ultimo remo, vecchio marinaio
    t'appenderei.

    Chè non giovano, a dir di te, parole:
    il grido del gabbiano nella schiuma
    la collera del mare sugli scogli
    è il solo canto che s'accorda a te.

    Fossi al tuo sole zolla che germoglia
    il filuzzo dell'erba. Fossi pino
    abbrancato al tuo tufo, cui nel crine
    passa la mano ruvida aquilone.
    Grappolo mi cocessi sui tuoi sassi.
    Camillo Sbarbaro
    Composta mercoledì 30 novembre 1921
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      Scritta da: Antonella Marotta
      Magra dagli occhi lustri, dai pomelli
      accesi,
      la mia anima torbida che cerca
      chi le somigli
      trova te che sull'uscio aspetti gli uomini.

      Tu sei la mia sorella di quest'ora.

      Accompagnarti in qualche trattoria
      di passoporto
      e guardarti mangiare avidamente!
      E coricarmi senza desiderio
      nel tuo letto!
      Cadavere vicino ad un cadavere
      bere dalla tua vista l'amarezza
      come la spugna secca beve l'acqua!

      Toccare le tue mani i tuoi capelli
      che pure a te qualcuno avrà raccolto
      in un piccolo ciuffo sulla testa!
      E sentirmi guardato dai tuoi occhi
      ostili, poveretta, e tormentarti
      domandandoti il nome di tua madre...

      Nessuna gioia vale questo amaro:
      poterti far piangere, potere
      piangere con te.
      Camillo Sbarbaro
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        Scritta da: Antonella Marotta
        Taci anima mia. Son questi i tristi giorni in cui senza volontà si vive,
        i giorni dell'attesa disperata.
        Come l'albero ignudo a mezzo inverno
        che s'attriste nella deserta corte
        io non credo di mettere più foglie
        e dubito d'averle messe mai.
        Andando per la strada così solo
        tra la gente che m'urta e non mi vede
        mi pare d'esser da me stesso assente.
        E m'accalco ad udire dov'è ressa
        sosto dalle vetrine abbarbagliato
        e mi volto al frusciare d'ogni gonna.
        Per la voce d'un cantastorie cieco
        per l'improvviso lampo d'una nuca
        mi sgocciolano dagli occhi sciocche lacrime
        mi s'accendon negli occhi cupidigie.
        Chè tutta la mia vita è nei miei occhi:
        ogni cosa che passa la commuove
        come debola vento un'acqua morta.

        Io son come uno specchio rassegnato
        che riflette ogni cosa per la via.
        In me stesso non guardo perché nulla
        vi troverei...

        E, venuta la sera, nel mio letto
        mi stendo lungo come in una bara.
        Camillo Sbarbaro
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          Scritta da: Antonella Marotta
          Svegliandomi il mattino, a volte provo
          sì acuta ripugnanza a ritornare
          in vita, che di cuore farei patto
          in quell'istante stesso di morire.

          Il risveglio m'è allora un altro nascere;
          ché la mente lavata dall'oblio
          e ritornata vergine nel sonno
          s'affaccia all'esistenza curiosa.
          Ma tosto a lei l'esperienza emerge
          come terra scemando la marea.
          E così chiara allora le si scopre
          l'irragionevolezza della vita,
          che si rifiuta a vivere, vorrebbe
          ributtarsi nel limbo dal quale esce.

          Io sono in quel momento come chi
          si risvegli sull'orlo d'un burrone,
          e con le mani disperatamente
          d'arretrare si sforzi ma non possa.

          Come il burrone m'empie di terrore
          la disperata luce del mattino.
          Camillo Sbarbaro
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            Scritta da: Antonella Marotta
            Adesso che placata è la lussuria
            sono rimasto con i sensi vuoti,
            neppur desideroso di morire.
            Ignoro se ci sia nel mondo ancora
            chi pensi a me e se mio padre viva.
            Evito di pensarci solamente.
            Chè ogni pensiero di dolore adesso
            mi sembrerebbe suscitato ad arte.
            Sento d'esser passato oltre qual limite
            nel qual si è tanto umani per soffrire,
            e che quel bene non m'è più dovuto,
            perché soffrire la colpa è un bene.

            Mi lascio accarezzare dalla brezza,
            illuminare dai fanali, spingere
            dalla gente che passa, incurioso
            come nave senz'ancora né vela
            che abbandona la sua carcassa all'onda.
            Ed aspetto così, senza pensiero
            e senza desiderio, che di nuovo
            per la vicenda eterna delle cose
            la volontà di vivere ritorni.
            Camillo Sbarbaro
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              Scritta da: Antonella Marotta
              I miei occhi implacabili che sono
              sempre limpidi pure quando piangono
              Amicizia non vale ad ingannare.
              Quando parliamo troppo forte o quando
              d'improvviso taciamo tutti e due,
              vedono essi il male che ci rode.
              Col rumor della voce noi vogliamo
              creare fra noi quel che non è;
              quando taciamo non sappiam che dirci
              ed apre degli abissi quel silenzio.
              Allacciarci non giova con le braccia
              se distinti restiamo ai nostri occhi.

              A ingannarli non vali neppur tu,
              Dolore. Quando allenti la tua stretta,
              il mio padre e le mia sorella anch'esse
              s'allontanano paurosamente.

              Certe volte vedendo una bestiola
              che lecca una bestiola e gioca seco,
              mi morde il cuore una crudele invidia.

              Con gli occhi vedo che mi sei negata,
              gioia di voler bene a quelcheduno.
              Camillo Sbarbaro
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                Scritta da: Antonella Marotta
                Mi desto dal penoso sonno solo
                nel cuore della notte.
                Tace intorno
                la casa come vuota e laggiù brilla
                silenzioso coi suoi lumi un porto.
                Ma sì freddi e remoti son quei lumi
                e sì alto il silenzio nella casa
                che mi levo sui gomiti in ascolto.
                Improvviso terrore mi sorprende
                il fiato e allarga nella notte gli occhi:
                separata dal resto della casa
                separata dal resto della terra
                è la mia vita ed io son solo al mondo.

                Poi il ricordo delle trite vie
                e dei nomi e dei volti consueti
                emerge come spiaggia da marea
                e di me sorridendo mi riadagio.

                Ma svanita col sonno la paura,
                un gelo in fondo all'anima rimane:
                io tra gli uomini vado
                curioso di lor ma come estraneo;
                ed alcuno non ho nelle cui mani
                metter le mani
                e col quale di me dimenticarmi.
                Camillo Sbarbaro
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                  Scritta da: Antonella Marotta
                  A volte mentre vado al sole
                  e gli aspetti del mondo accolgo e il cuore
                  quasi m'opprime l'amorosa ressa,
                  ombra il sole ecco farsi l'ombra, gelo.

                  Un cieco mi par d'essere che va
                  lungo la sponda d'un immenso fiume.
                  Scorrono sotto l'acque maestose;
                  ma non le vede lui: il poco sole
                  lui si prende beato. E se gli giunge
                  a tratti mormorar d'acque, lo crede
                  ronzio d'orecchi illusi.

                  Perché a me par vivendo questa mia
                  povera vita, un'altra rasentarne
                  come nel sonno; e che quel sonno sia
                  la mia vita presente.

                  Un vago sentimento allor mi coglie,
                  uno sgomento pueril.
                  Mi siedo
                  dove sono, sul ciglio della strada,
                  miro il misero mio angusto mondo
                  e carezzo con man che trema l'erba.
                  Camillo Sbarbaro
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                    Scritta da: Antonella Marotta
                    A volte sulla sponda della via
                    preso da infinito scoramente
                    mi seggo; e dove vado mi domando,
                    perché cammino. E penso la mia morte
                    e mi vedo già steso nella bara
                    troppo stretta fatoccio inanimato...

                    Quant'albe nasceranno ancora al mondo
                    dopo di noi!
                    Di ciò che abbiam sofferto
                    di tutto ciò che in vita ebbimo a cuore
                    non rimarrà il più piccolo ricordo

                    Le generazioni passan come
                    onde di fiume...

                    Una mortale pesantezza il cuore
                    m'opprime.
                    Inerte vorrei esser fatto
                    come qualche antichissima rovina
                    e guardare succedersi le ore,
                    e gli uomini mutare i passi, i cieli
                    all'alba colorirsi, scolorirsi
                    a sera...
                    Camillo Sbarbaro
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