Ora che sei venuta, che con passo di danza sei entrata nella mia vita quasi folata in una stanza chiusa – a festeggiarti, bene tanto atteso, le parole mi mancano e la voce e tacerti vicino già mi basta.
Il pigolìo così che assorda il bosco al nascere dell'alba, ammutolisce quando sull'orizzonte balza il sole.
Ma te la mia inqietitudine cercava quando ragazzo nella notte d'estate mi facevo alla finestra come soffocato: che non sapevo, m'affannava il cuore. E tutte tue sono le parole che, come l'acqua all'orlo che trabocca, alla bocca venivano da sole,
l'ore deserte, quando s'avanzavan puerilmente le mie labbra d'uomo da sé, per desiderio di baciare....
Ora che non mi dici niente, ora che non mi fai godere né soffrire, tu sei la consueta dei miei giorni. Assomigli ad un lago tutto uguale sotto un cielo di latta tutto uguale. Assonnato mi muovo sulla riva. Non voglio non desider, neppure penso. Mi tocco per sentir se sono. È l'essere e il non esser, come l'acqua e il cielo di quel lago si confondono. Diventa il mio dolore quel d'un altro e la vita non è né lieta né triste. T'odio, compagna assidua dei miei giorni, che alla vita non mi sottrai, facendomi come il sonno una cosa inanimata, ma me la lasci solo rasentare. Poiché son rassegnato a viver, voglio che ad ogni ora del dì mi pesi sopra, mi tocchi nella mia carne vitale. Voglio il Dolore che m'abbranchi forte e collochi nel centro della Vita. Ora che non mi dici niente, ora che non mi fai godere né soffrire, io rassegnato aspetto che tu passi.
Taci, anima stanca di godere e di soffrire(all'uno e all'altro vai rassegnata) Nessuna voce tua odo se ascolto: non di rimpianto per la miserabile giovinezza, non d'ira o di speranza, e neppure di tedio. Giaci come il corpo, ammutolita, tutta piena d'una rassegnazione disperata. Non ci stupiremmo, non è vero, mia anima, se il cuore si fermasse, sospeso se ci fosse il fiato... Invece camminiamo, camminiamo io e te come sonnambuli. E gli alberi son alberi, le case sono case, le donne che passano son donne, e tutto è quello che è, soltanto quel che è. La vicenda di gioia e di dolore non ci tocca. Perduto ha la voce la sirena del mondo, e il mondo è un grande deserto. Nel deserto io guardo con asciutti occhi me stesso.
Io che come un sonnambulo cammino per le mie trite vie quotidiane, vedendoti dinanzi a me trasalgo.
Tu mi cammini innanzi lenta come una regina. Regolo il mio passo io subito destato dal mio sonno sul tuo ch'è come una sapiente musica. E possibilità d'amore e gloria mi s'affacciano al cuore e me lo gonfiano. Pei riccioletti folli d'una nuca per l'ala d'un cappello io posso ancora alleggerirmi della mia tristezza. Io sono ancora giovane, inesperto col cuore pronto a tutte le follie.
Una luce di fa nel dormiveglia. Tutto è sospeso come in un'attesa. Non penso più. Sono contento e muto. Batte il mio cuore al ritmo del tuo passo.
Talor, mentre cammino per le strade della città tumultuosa solo, mi dimentico il mio destino d'essere uomo tra gli altri, e, come smemorato, anzi tratto fuor di me stesso, guardo la gente con aperti estranei occhi.
M'occupa allora un puerile, un vago senso di sofferenza ed ansietà come per mano che mi opprima il cuore. Fronti calve di vecchi, inconsapevoli occhi di bimbi, facce consuete di nati a faticare e a riprodursi, facce volpine stupide beate, facce ambigue di preti, pitturate facce di meretrici, entro il cervello mi s'imprimono dolorosamente. E conosco l'inganno pel qual vivono, il dolore che mise quella piega sul loro labbro, le speranze sempre deluse, e l'inutilità della loro vita amara e il lor destino ultimo, il buio.
Ché ciascuno di loro porta seco la condanna d'esistere: ma vanno dimentichi di ciò e di tutto, ognuno occupato dall'attimo che passa, distratto dal suo vizio prediletto.
Provo un disagio simile a chi veda inseguire farfalle lungo l'orlo d'un precipizio, od una compagnia di strani condannati sorridenti. E se poco ciò dura, io veramente in quell'attimo dentro m'impauro a vedere che gli uomini son tanti.
A volte mentre vado al sole e gli aspetti del mondo accolgo e il cuore quasi m'opprime l'amorosa ressa, ombra il sole ecco farsi l'ombra, gelo.
Un cieco mi par d'essere che va lungo la sponda d'un immenso fiume. Scorrono sotto l'acque maestose; ma non le vede lui: il poco sole lui si prende beato. E se gli giunge a tratti mormorar d'acque, lo crede ronzio d'orecchi illusi.
Perché a me par vivendo questa mia povera vita, un'altra rasentarne come nel sonno; e che quel sonno sia la mia vita presente.
Un vago sentimento allor mi coglie, uno sgomento pueril. Mi siedo dove sono, sul ciglio della strada, miro il misero mio angusto mondo e carezzo con man che trema l'erba.