Scrittore, poeta, saggista e traduttore, nato mercoledì 9 settembre 1908 a Santo Stefano Belbo, Cuneo (Italia), morto domenica 27 agosto 1950 a Torino (Italia)
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi, questa morte che ci accompagna dal mattino alla sera, insonne, sorda, come un vecchio rimorso o un vizio assurdo. I tuoi occhi saranno una vana parola, un grido taciuto, un silenzio. Così li vedi ogni mattina quando su te sola ti pieghi nello specchio. O cara speranza, quel giorno sapremo anche noi che sei la vita e sei il nulla. Per tutti la morte ha uno sguardo. Verrà la morte e avrà i tuoi occhi. Sarà come smettere un vizio, come vedere nello specchio riemergere un viso morto, come ascoltare un labbro chiuso. Scenderemo nel gorgo muti.
Girerò per le strade finché non sarò stanca morta saprò vivere sola e fissare negli occhi ogni volto che passa e restare sempre la stessa. Questo fresco che sale a cercarmi le vene è un risveglio che mai nel mattino ho provato così vero: soltanto, mi sento più forte che il mio corpo, e un tremore più feddo accompagna il mattino. Son lontani i mattini che avevo vent'anni. E domani, ventuno: domani uscirò per le strade, ne ricordo ogni sasso e le strisce di cielo. Da domani la gente riprende a vedermi e sarò ritta in piedi e potrò soffermarmi e specchiarmi in vetrine. I mattini di un tempo, ero giovane e non lo sapevo, e nemmeno sapevo di essere io che passavo-una donna, pdrona di se stessa. La magra bambina che fui si è svegliata da un pianto non fosse mai stato. E desidero solo colori. I colori non piangono, sono come un risveglio: domani i colori torneranno. Ciascuna uscirà per la strada, ogni corpo un colore-perfino i bambini. Questo corpo vestito di rosso leggero dopo tanto pallore riavrà la sua vita. Sentirò intorno a me scivolare gli sguardi e saprò d'esser io: gettando un'occhiata, mi vedrò tra la gente. Ogni nuovo mattino, uscirò per le strade cercando i colori.
C'è un giardino chiaro, fra mura basse, di erba secca e di luce, che cuoce adagio la sua terra. È una luce che sa di mare. Tu respiri quell'erba. Tocchi i capelli e ne scuoti il ricordo. Ho veduto cadere molti frutti, dolci, su un'erba che so, con un tonfo. Così trasalisci tu pure al sussulto del sangue. Tu muovi il capo come intorno accadesse un prodigio d'aria e il prodigio sei tu. C'è un sapore uguale nei tuoi occhi e nel caldo ricordo. Ascolti. La parole che ascolti ti toccano appena. Hai nel viso calmo un pensiero chiaro che ti finge alle spalle la luce del mare. Hai nel viso un silenzio che preme il cuore con un tonfo, e ne stilla una pena antica come il succo dei frutti caduti allora.
Lo spiraglio dell'alba respira con la tua bocca in fondo alle vie vuote. Luce grigia i tuoi occhi, dolci gocce dell'alba sulle colline scure. Il tuo passo e il tuo fiato come il vento dell'alba sommergono le case. La città abbrividisce, odorano le pietre sei la vita, il risveglio. Stella sperduta nella luce dell'alba, cigolio della brezza, tepore, respiro è finita la notte. Sei la luce e il mattino.
Che diremo stanotte all'amico che dorme? La parola più tenue ci sale alle labbra dalla pena più atroce. Guarderemo l'amico, le sue inutili labbra che non dicono nulla, parleremo sommesso. La notte avrà il volto dell'antico dolore che riemerge ogni sera impassibile e vivo. Il remoto silenzio soffrirà come un'anima, muto, nel buio. Parleremo alla notte che fiata sommessa.
Udiremo gli istanti stillare nel buio al di là delle cose, nell'ansia dell'alba, che verrà d'improvviso incidendo le cose contro il morto silenzio. L'inutile luce svelerà il volto assorto del giorno. Gli istanti taceranno. E le cose parleranno sommesso.
La fatica è sedersi senza farsi notare. Tutto il resto poi viene da sé. Tre sorsate e ritorna la voglia di pensarci da solo. Si spalanca uno sfondo di lontani ronzii, ogni cosa si sperde, e diventa un miracolo esser nato e guardare il bicchiere. Il lavoro (l'uomo solo non può non pensare al lavoro) ridiventa l'antico destino che è bello soffrire per poterci pensare. Poi gli occhi si fissano a mezz'aria, dolenti, come fossero ciechi.
Se quest'uomo si rialza e va a casa a dormire, pare un cieco che ha perso la strada. Chiunque può sbucare da un angolo e pestarlo di colpi. Può sbucare una donna e distendersi in strada, bella e giovane, sotto un altr'uomo, gemendo come un tempo una donna gemeva con lui. Ma quest'uomo non vede. Va a casa a dormire e la vita non è che un ronzio di silenzio.
A spogliarlo, quest'uomo, si trovano membra sfinite e del pelo brutale, qua e là. Chi direbbe che in quest'uomo trascorrono tiepide vene dove un tempo la vita bruciava? Nessuno crederebbe che un tempo una donna abbia fatto carezze su quel corpo e baciato quel corpo, che trema, e bagnato di lacrime, adesso che l'uomo giunto a casa a dormire, non riesce, ma geme.
Sarà un cielo chiaro. S'apriranno le strade sul colle di pini e di pietra. Il tumulto delle strade non muterà quell'aria ferma. I fiori, spruzzati di colori alle fontane, occhieggeranno come donne divertite. Le scale le terrazze le rondini canteranno nel sole. S'aprirà quella strada, le pietre canteranno, il cuore batterà sussultando come l'acqua nelle fontane - sarà questa la voce che salirà le tue scale. Le finestre sapranno l'odore della pietra e dell'aria mattutina. S'aprirà una porta. Il tumulto delle strade sarà il tumulto del cuore nella luce smarrita.