Di quando in quando Tutto m'ansima il corpo E la vita mi appare negli occhi, Tra essi vibrando e la bocca Giù selvatica discende per le membra Lasciando gli occhi miei svuotati tumultuanti E il petto mio quieto colma d'un fremito e un calore; E giù per le snelle ondulazioni sottostanti Che onde diventan pesanti, di passione gonfie E il ventre mio placido e sonnolento All'istante ribelle si desta bramoso, Eccitato sforzandosi e attento, Mentre le tenere braccia abbandonate Con forza selvaggia s'incrociano A stringere - quel che non hanno stretto mai. E tutto io vibro, tremo e ancora tremo Finché la strana potenza che il corpo mi scuoteva Non svanisce E nobile non risorge l'ininterrotto fluire della vita Nella durezza implacabile dei miei occhi, Non risorge dalla bellezza solitaria del corpo mio Esausto e insoddisfatto.
Si piegano i pini ad ascoltare i mormorii del vento autunnale che i neri pioppi fa agitare in un isterico riso mentre la casa del giorno lentamente chiude le sue imposte orientali. In fondo alla valle, confusamente le lapidi del cimitero - lontane si raggruppano, avvolgendo la loro vaghezza nel grigio sudario della nebbia, ormai che nel crepuscolo i lampioni all'improvviso hanno iniziato a sanguinare. Fuori dalla finestra volano le foglie e passando una parola pronunciano al viso che fissa l'esterno, guardando se soffia la notte un pensiero o un messaggio sui vetri.