il tempo è malato i fanciulli non giocano più le ragazze non hanno più occhi che splendono a sera.
E anche gli amori non si cantano più, le speranze non hanno più voce, i morti doppiamente morti al freddo di queste liturgie:
ognuno torna alla sua casa sempre più solo.
Tempo è di tornare poveri per ritrovare il sapore del pane, per reggere alla luce del sole per varcare sereni la notte e cantare la sete della cerva. E la gente, l'umile gente abbia ancora chi l'ascolta, e trovino udienza le preghiere.
Ieri all'ora nona mi dissero: il Drago è certo, insediato nel centro del ventre come un re sul suo trono. E calmo risposi: bene! Mettiamoci in orbita: prendiamo finalmente la giusta misura davanti alle cose; e con serenità facciamo l'elenco: e l'elenco è veramente breve.
Appena udibile, nel silenzio, il fruscio delle nostre passioncelle del quotidiano, uguale a un crepitare di foglie sull'erba disseccata.
Solo a sera m'è dato assistere alla deposizione della luce, quando la vita, ormai senza rimedio, è perduta.
Mio convoglio funebre di ogni notte: emigrazione di sensi, accorgimenti delle ore tradite, intanto che lo spirito è rapito sotto l'acutissimo arco dell'esistenza: l'accompagna una musica di indicibile silenzio.
Invece dovere ogni mattina risorgere sognare sempre impossibili itinerari.
Io non ho mani che mi accarezzino il volto, (duro è l'ufficio di queste parole che non conoscono amori) non so le dolcezze dei vostri abbandoni: ho dovuto essere custode della vostra solitudine: sono salvatore di ore perdute.