Le migliori poesie di Eugenio Montale

Scrittore, poeta, giornalista, traduttore e critico musicale, nato lunedì 12 ottobre 1896 a Genova (Italia), morto sabato 12 settembre 1981 a Milano (Italia)
Questo autore lo trovi anche in Frasi & Aforismi.

Scritta da: Silvana Stremiz

Xenia I

Avevamo studiato per l'aldilà
un fischio, un segno di riconoscimento.
Mi provo a modularlo nella speranza
che tutti siamo già morti senza saperlo.
Non ho mai capito se io fossi
il tuo cane fedele e incimurrito
o tu lo fossi per me.
Per gli altri no, eri un insetto miope
smarrito nel blabla
dell'alta società. Erano ingenui
quei furbi e non sapevano
di essere loro il tuo zimbello:
di esser visti anche al buio e smascherati
da un tuo senso infallibile, dal tuo
radar di pipistrello.
Eugenio Montale
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    La Storia

    La storia non si snoda
    come una catena
    di anelli ininterrotta.
    In ogni caso
    molti anelli non tengono.
    La storia non contiene
    il prima e il dopo,
    nulla che in lei borbotti
    a lento fuoco.
    La storia non è prodotta
    da chi la pensa e neppure
    da chi l'ignora. La storia
    non si fa strada, si ostina,
    detesta il poco a poco, non procede
    né recede, si sposta di binario
    e la sua direzione
    non è nell'orario.
    La storia non giustifica
    e non deplora,
    la storia non è intrinseca
    perché è fuori.
    La storia non somministra carezze o colpi di frusta.
    La storia non è magistra
    di niente che ci riguardi. Accorgersene non serve
    a farla più vera e più giusta.
    La storia non è poi
    la devastante ruspa che si dice.
    Lascia sottopassaggi, cripte, buche
    e nascondigli. C'è chi sopravvive.
    La storia è anche benevola: distrugge
    quanto più può: se esagerasse, certo
    sarebbe meglio, ma la storia è a corto
    di notizie, non compie tutte le sue vendette.
    La storia gratta il fondo
    come una rete a strascico
    con qualche strappo e più di un pesce sfugge.
    Qualche volta s'incontra l'ectoplasma
    d'uno scampato e non sembra particolarmente felice.
    Ignora di essere fuori, nessuno glie n'ha parlato.
    Gli altri, nel sacco, si credono
    più liberi di lui.
    Eugenio Montale
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      Scritta da: Silvana Stremiz

      La Bufera

      La bufera che sgronda sulle foglie
      dure della magnolia i lunghi tuoni
      marzolini e la grandine,
      (i suoni di cristallo nel tuo nido
      notturno ti sorprendono, dell'oro
      che s'è spento sui mogani, sul taglio
      dei libri rilegati, brucia ancora
      una grana di zucchero nel guscio
      delle tue palpebre)
      il lampo che candisce
      alberi e muro e li sorprende in quella
      eternità d'istante - marmo manna
      e distruzione - ch'entro te scolpita
      porti per tua condanna e che ti lega
      più che l'amore a me, strana sorella, -
      e poi lo schianto rude, i sistri, il fremere
      dei tamburelli sulla fossa fuia,
      lo scalpicciare del fandango, e sopra
      qualche gesto che annaspa...
      Come quando
      ti rivolgesti e con la mano, sgombra
      la fronte dalla nube dei capelli,
      mi salutasti - per entrar nel buio.
      Eugenio Montale
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        Scritta da: Elisa Iacobellis

        Mediterraneo

        Avrei voluto sentirmi scabro ed essenziale
        siccome i ciottoli che tu volvi,
        mangiati dalla salsedine;
        scheggia fuori dal tempo, testimone
        di una volontà fredda che non passa.
        Altro fui: uomo intento che riguarda
        in sé, in altrui, il bollore
        della vita fugace uomo che tarda
        all'atto, che nessuno, poi, distrugge.
        Volli cercare il male
        che tarla il mondo, la piccola stortura
        d'una leva che arresta
        l'ordegno universale; e tutti vidi
        gli eventi del minuto
        come pronti a disgiungersi in un crollo.
        Seguìto il solco di un sentiero m'ebbi
        l'opposto in cuore, col suo invito; e forse
        m'occorreva il coltello che recide,
        la mente che decide e si determina.
        Altri libri occorrevano
        a me, non la tua pagina rombante.
        Ma nulla so rimpiangere: tu sciogli
        ancora i groppi interni col tuo canto.
        Il tuo delirio sale agli astri ormai.
        Eugenio Montale
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          Scritta da: Silvana Stremiz

          I limoni

          Ascoltami, i poeti laureati
          si muovono soltanto fra le piante
          dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti.
          Io, per me, amo le strade che riescono agli erbosi
          fossi dove in pozzanghere
          mezzo seccate agguantano i ragazzi
          qualche sparuta anguilla:
          le viuzze che seguono i ciglioni,
          discendono tra i ciuffi delle canne
          e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni.

          Meglio se le gazzarre degli uccelli
          si spengono inghiottite dall'azzurro:
          più chiaro si ascolta il susurro
          dei rami amici nell'aria che quasi non si muove,
          e i sensi di quest'odore
          che non sa staccarsi da terra
          e piove in petto una dolcezza inquieta.
          Qui delle divertite passioni
          per miracolo tace la guerra,
          qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza
          ed è l'odore dei limoni.

          Vedi, in questi silenzi in cui le cose
          s'abbandonano e sembrano vicine
          a tradire il loro ultimo segreto,
          talora ci si aspetta
          di scoprire uno sbaglio di Natura,
          il punto morto del mondo, l'anello che non tiene,
          il filo da disbrogliare che finalmente ci metta
          nel mezzo di una verità
          Lo sguardo fruga d'intorno,
          la mente indaga accorda disunisce
          nel profumo che dilaga
          quando il giorno più languisce.
          Sono i silenzi in cui si vede
          in ogni ombra umana che si allontana
          qualche disturbata Divinità

          Ma l'illusione manca e ci riporta il tempo
          nelle città rumorose dove l'azzurro si mostra
          soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase.
          La pioggia stanca la terra, di poi; s'affolta
          il tedio dell'inverno sulle case,
          la luce si fa avara - amara l'anima.
          Quando un giorno da un malchiuso portone
          tra gli alberi di una corte
          ci si mostrano i gialli dei limoni;
          e il gelo del cuore si sfa,
          e in petto ci scrosciano
          le loro canzoni
          le trombe d'oro della solarità.
          Eugenio Montale
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            Il balcone

            Pareva facile giuoco
            mutare in nulla lo spazio
            che m'era aperto, in un tedio
            malcerto il certo tuo fuoco.

            Ora a quel vuoto ho congiunto
            ogni mio tardo motivo,
            sull'arduo nulla si spunta
            l'ansia di attenderti vivo.

            La vita che dà barlumi
            è quella che sola tu scorgi.
            A lei ti sporgi da questa
            finestra che non s'illumina.
            Eugenio Montale
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              Scritta da: Silvana Stremiz

              Arsenio

              I turbini sollevano la polvere
              sui tetti, a mulinelli, e sugli spiazzi
              deserti, ove i cavalli incappucciati
              annusano la terra, fermi innanzi
              ai vetri luccicanti degli alberghi.
              Sul corso, in faccia al mare, tu discendi
              in questo giorno
              or piovorno ora acceso, in cui par scatti
              a sconvolgerne l'ore
              uguali, strette in trama, un ritornello
              di castagnette.
              È il segno d'un'altra orbita: tu seguilo.
              Discendi all'orizzonte che sovrasta
              una tromba di piombo, alta sui gorghi,
              più d'essi vagabonda: salso nembo
              vorticante, soffiato dal ribelle
              elemento alle nubi; fa che il passo
              su la ghiaia ti scricchioli e t'inciampi
              il viluppo dell'alghe: quell'istante
              è forse, molto atteso, che ti scampi
              dal finire il tuo viaggio, anello d'una
              catena, immoto andare, oh troppo noto
              delirio, Arsenio, d'immobilità...
              Ascolta tra i palmizi il getto tremulo
              dei violini, spento quando rotola
              il tuono con un fremer di lamiera
              percossa; la tempesta è dolce quando
              sgorga bianca la stella di Canicola
              nel cielo azzurro e lunge par la sera
              ch'è prossima: se il fulmine la incide
              dirama come un albero prezioso
              entro la luce che s'arrosa: e il timpano
              degli tzigani è il rombo silenzioso
              Discendi in mezzo al buio che precipita
              e muta il mezzogiorno in una notte
              di globi accesi, dondolanti a riva, -
              e fuori, dove un'ombra sola tiene
              mare e cielo, dai gozzi sparsi palpita
              l'acetilene -
              finché goccia trepido
              il cielo, fuma il suolo che t'abbevera,
              tutto d'accanto ti sciaborda, sbattono
              le tende molli, un fruscio immenso rade
              la terra, giù s'afflosciano stridendo
              le lanterne di carta sulle strade.
              Così sperso tra i vimini e le stuoie
              grondanti, giunco tu che le radici
              con sé trascina, viscide, non mai
              svelte, tremi di vita e ti protendi
              a un vuoto risonante di lamenti
              soffocati, la tesa ti ringhiotte
              dell'onda antica che ti volge; e ancora
              tutto che ti riprende, strada portico
              mura specchi ti figge in una sola
              ghiacciata moltitudine di morti,
              e se un gesto ti sfiora, una parola
              ti cade accanto, quello è forse, Arsenio,
              nell'ora che si scioglie, il cenno d'una
              vita strozzata per te sorta, e il vento
              la porta con la cenere degli astri.
              Eugenio Montale
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                Scritta da: Silvana Stremiz

                Gloria del disteso mezzogiorno

                Gloria del disteso mezzogiorno
                quand'ombra non rendono gli alberi,
                e piú e piú si mostrano d'attorno
                per troppa luce, le parvenze, falbe.

                Il sole, in alto, - e un secco greto.
                Il mio giorno non è dunque passato:
                l'ora piú bella è di là dal muretto
                che rinchiude in un occaso scialbato.

                L'arsura, in giro; un martin pescatore
                volteggia s'una reliquia di vita.
                La buona pioggia è di là dallo squallore,
                ma in attendere è gioia piú compita.
                Eugenio Montale
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