Silenzio, dove porti il tuo vetro appannato di sorrisi, di parole e di pianti dell'albero? Come pulisci, silenzio, la rugiada del canto e le macchie sonore che i mari lontani lasciano sul bianco sereno del tuo velo? Chi chiude le tue ferite quando sopra i campi qualche vecchia noria pianta il suo lento dardo sul tuo vetro immenso?
Dove vai se al tramonto ti feriscono le campane e spezzano il tuo riposo gli sciami delle strofe e il gran rumore dorato che cade sopra i monti azzurri singhiozzando?
L'aria dell'inverno spezza il tuo azzurro e taglia le tue foreste il lamento muto di qualche fonte fredda.
Dove posi le mani, la spina del riso o il bruciante fendente della passione trovi.
Se vai agli astri il solenne concerto degli uccelli azzurri rompe il grande equilibrio del tuo segreto pensiero.
Fuggendo il suono sei anche tu suono, spettro d'armonia, fumo di grido e di canto. Vieni a dirci la parola infinita nelle notti oscure senza alito, senza labbra.
Trafitto da stelle e maturo di musica, dove porti, silenzio, il tuo dolore extraumano, dolor di esser prigioniero nella ragnatela melodica, cieco per sempre il tuo sacro fonte? Oggi le tue onde trascinano con torbidi pensieri la cenere sonora e il dolore del passato. Gli echi dei gridi che svanirono per sempre. Il tuono remoto del mare, mummificato.
Se Geova dorme sali al trono splendente, spezzagli in fronte una stella spenta e lascia davvero la musica eterna, l'armonia sonora di luce, e intanto torna alla tua fonte, dove nella notte eterna, prima di Dio e del tempo sgorgavi in pace.
Il mio cuore oppresso con l'alba avverte il dolore del suo amore e il sogno delle lontananze. La luce dell'aurora porta rimpianti a non finire e tristezza senza occhi del midollo dell'anima. Il sepolcro della notte distende il nero velo per nascondere col giorno l'immensa sommità stellata. Che farò in questi campi cogliendo nidi e rami, circondato dall'aurora e con un'anima carica di notte! Che farò se con le chiare luci i tuoi occhi sono morti e la mia carne non sentirà il calore dei tuoi sguardi!
Perché per sempre ti ho perduta in quella chiara sera? Oggi il mio petto è arido come una stella spenta.
La luna cammina sull'acqua com'è tranquillo il cielo! Va segando lentamente il tremore vecchio del fiume mentre un ramo giovane la prende per uno specchio.
Sui rami dell'alloro camminano due colombe oscure. L'una era il sole, l'altra la luna. "Casigliane mie," chiesi, "dove sta la mia sepoltura?" "Nella mia coda", disse il sole. "Nella mia gola", disse la luna. Ed io che andavo camminando con la terra alla cintola vidi due aquile di neve e una ragazza nuda. L'una era l'altra e la ragazza era nessuna. "Care aquile, " chiesi, "dove sta la mia sepoltura?" "Nella mia coda", disse il sole. "Nella mia gola", disse la luna. Sui rami dell'alloro vidi due colombe nude. L'una era l'altra ed entrambe nessuna.
Sui rami indecisi andava una fanciulla ed era la vita. Sui rami indecisi. Con uno specchietto rifletteva il giorno che era lo splendore della sua fronte pura. Sui rami indecisi. Sulle tenebre andava sperduta, piangendo rugiada, prigioniera del tempo. Sui rami indecisi.
Controluce a un tramonto di pesca e zucchero. E il sole all'interno del vespro, come il nocciolo in un frutto. La pannocchia serba intatto il suo riso giallo e duro. Agosto. I bambini mangiano pane scuro e saporita luna.
Mi corazón oprimido siente junto a la alborada el dolor de sus amores y el sueño de las distancias. La luz de la aurora lleva semillero de nostalgias y la tristeza sin ojos de la médula del alma. La gran tumba de la noche su negro velo levanta para ocultar con el día la inmensa cumbre estrellada.
¡Què harè yo sobre estos campos cogiendo nidos y ramas, rodeado de la aurora y llena de noche el alma! ¡Què harè si tienes tus ojos muertos a las luces claras y no ha de sentir mi carne el calor de tus miradas!
¿Por què te perdì por siempre en aquella tarde clara? Hoy mi pecho està reseco como una estrella apagada.
Compianto per Ignazio Sánchez Mejías - il sangue sparso
Non voglio vederlo! Di' alla luna che si mostri; non voglio vedere il sangue d'Ignazio sopra l'arena. Non voglio vederlo! È spalancata la luna. Cavallo di calme nubi e circo grigio del sogno con salici in prima fila. Non voglio vederlo! Il mio ricordo si brucia. Avvisate i gelsomini di minuscolo candore! Non voglio vederlo! La vacca del vecchio mondo passava la triste sua lingua sopra un muso di grumi di sangue in terra versato. Ed i tori di Guisando, quasi morte e quasi pietra, mugghiaron come due secoli sazi di premere il suolo. No. Non voglio vederlo! Sale Ignazio sui gradini, tutta la sua morte a spalla. Andava in cerca dell'alba e l'alba non esisteva. Cerca il suo fermo profilo e il sogno lo disorienta. Il suo bel corpo cercava e trovò il suo sangue aperto. Non ditemi di vederlo! Non voglio sentire il getto che sempre più s'affioca; il getto che le tribune illumina e si riversa sopra il fustagno ed il cuoio, della folla sitibonda. Chi mi grida di mostrarmi! Non ditemi di vederlo. Non si chiusero i suoi occhi nel vedersi lì le corna; ma le terribili madri rizzarono allora il capo. Ed attraverso gli allevamenti corse un vento di voci segrete, a tori celesti gridate da mandriani di pallida nebbia. Non principe di Siviglia potrebbe essergli pari, né spada come la sua né cuore del suo più vero. Come un fiume di leoni il suo stupendo vigore, e come un torso di marmo la sua lineata saggezza. Aria di Roma andalusa gli dorava la testa dove il suo riso era un nardo di sale e d'intelligenza. Che gran torero in arena! Che buon montanaro ai monti! Quanto mite con le spighe! Quanto duro con gli sproni! Tenero con la rugiada! Che bagliore nella fiera! Quanto tremendo con l'ultime banderillas della tenebra! Ma ora dorme in eterno. Ora i muschi e l'erba dischiudono con loro dita sicure il fiore del suo teschio. E il suo sangue ora viene cantando: cantando per maremme e praterie, sdrucciolando su corna intirizzite; senz'anima vacilla nella nebbia. In migliaia di zoccoli inciampando come una lunga, oscura, triste lingua, per formare una pozza d'agonia presso il Guadalquivir del firmamento. Oh bianco muro di Spagna! Oh nero toro di pena! Oh sangue duro d'Ignazio! Oh usignolo delle sue vene! No. Non voglio vederlo! Un calice non v'è che lo contenga, non vi son rondinelle che lo bevano, non v'è brina di luce che lo geli, non di gigli v'è canto né diluvio, non cristallo che lo copra d'argento. No. Io non voglio vederlo!