Una breve discesa in mezzo ai rovi. Lumache se cadeva qualche goccia d'acqua. Un carrubo in fondo alla strada. Correvo, bambino, più forte se qualche cagnolino abbaiava. Si alzava la terra sotto le mie scarpe.
Entravo io, veloce in quella vecchia casa senza bussare spingendo la porta socchiusa con le mani.
Mio nonno seduto dinanzi ad un tavolo rotondo, immobile, in silenzio, mi aspettava per giocare a briscola.
Come sarebbe stato tutto diverso per me se fossero uscite altre carte!
Mio nonno mi ripeteva un antico proverbio. Io non ne comprendevo il significato e continuavo ad accampare scuse, a recriminare, a cercare, assurdamente, fuori da me stesso la ragione delle mie sconfitte.
Perché perdevo sempre, allora, ma tornavo a casa contento per qualche pezzo da cento lire che scivolava in tasca.
Passò il tempo, il fuoco fece ardere il roveto, la casa fu venduta e demolita. Se ne andò un giorno, mio nonno, mentre mi trovavo a scuola.
Mi rimase una sua foto: lo sguardo fiero, l'aria austera, l'aspetto da vegliardo imponente con le medaglie di Vittorio Veneto appese al colletto della giacca.
Ora continuo a lamentarmi per le carte che non escono. Ma, non sono più contento di perdere.
Ho percorso aride terre sconfinate per giungere infine al tuo abbraccio. Non per vincere le nostre solitudini, ma perché la felicità è un attimo, nulla vale più in una vita avara. Così, tra le angustie del presente, io con te trovo infinita prosperità.
Ho navigato per profondi oceani fino all'ultimo, estremo orizzonte per approdare alla luce del tuo sguardo. Non per vedere il mio, il tuo deserto, ma perché su fil di lama è la felicità, nulla conta più di quest'attimo. Così, nell'incomprensibile presente attraverso i tuoi occhi io rivedo il cielo stellato.
Il caldo universale ha cambiato i ritmi e la musica della vita, le stagioni, il tempo della vendemmia, della semina. Ha portato con sé uomini usciti dalle maree: visi scavati da un pianto remoto.
Naufraga con essi un'umanità migrante dalla ragione, estranea a se stessa, al proprio vivere, incapace di riconoscersi in quella pelle diversa dalla propria rivedervi le sofferenze dei propri avi nell'atlantico: un dolore atavico.
Altri uomini narrano favole che nessuno illudono. Tornerà il freddo, dicono, finiranno guerre e fame, perché l'abbiam deciso noi. Non si scioglieranno più i ghiacciai. Il contadino tornerà a coltivare la terra, il ragazzo i sogni.
Ma io vedo solo un bambino senza secchiello e paletta, il viso affondato nella sabbia, le piccole mani protese: l'ultima preghiera verso il cielo della turchia.
Un tramonto e' sempre un tramonto A Parigi o in Africa, A Roma o NewYork, Sia che il sole affondi nell'azzurro del mare, Sia che cada sulle cime delle montagne Che si protendono verso il cielo, O sulla sabbia dei deserti, O sulle chiome degli alberi delle foreste.
Immagini a noi familiari, Vive per i nostri ricordi, Le nostre pulsanti emozioni Nei luoghi dell'infanzia Inondata di luce calante, Non possono essere amate e odiate Allo stesso modo dal visitatore occasionale Anche qualora dovesse essere il più attento Viaggiatore dell'anima.
Per questo Parigi non è Africa, Roma non è New York, Ma è sempre la stessa la luce, Meravigliosa nel suo spegnersi, Che accompagna gli uomini Alla sospensione della vita, Nell'ansia febbrile di riaccendersi Per donare la speranza di un nuovo giorno.
Ho abbandonato le valigie in stazione e sono partito in questo grigio inverno in cerca di me stesso. Ho messo da parte i risparmi dello spirito ed ora posso cominciare a spendere la vita.
Conoscerò finalmente una città di parole governata dai poeti in tasca un'intera eredità di stenti per potere sopravvivere e dopo tanto peregrinare incontrerò il paradiso dei nudisti dell'anima.
Sarà tutto dentro questo racconto d'amore senza amore, questo delirio senza febbre. Spunterà senza preavviso nella fitta tenebra un bagliore improvviso di luce.