Gianni è una persona intermedia. Ho sognato di non aver più il pancione, di non essere più incinto, e dalla posizione supina riuscivo a vedere i miei piedi. È strano vedersi i piedi. Ed essere guardato dai tuoi piedi. In posizione eretta non li guardi, ti trasportano, dondolandoti il corpo su cui sono attaccati i tuoi occhi, cosicché, poche storie, non li vedi proprio, perché ti ballonzola la vista al passo.
Gianni è il classico tipo che ti può trovar di tutto: hai bisogno di un auto per fuggire al porto? Te la trova. Ti trova auto, una prostituta, un travestito, pappagalli verdi brasiliani, droga e persino armi. Armi a noleggio. Armi a noleggio, è assurdo, non le paghi tanto. Tanto non le usi. Ma hai un'arma, e da quando nasciamo siamo disarmati, è rassicurante, per quel che dura, di fronte a questa vita improvvisa e veloce e feroce. E siamo anche illusi e tosto disillusi. A ondate talmente veloci che non hai il tempo di respirare, infatti la nostra vita si chiama Apnea.
Gianni è una persona intermedia perché ha capito che la libertà concessa a un uomo, un animale, una pianta, sta negli interstizi della prigionia, del bisogno, dell'esigenza, della fame e del dover andare regolarmente di corpo. E così vive tra la libertà di essere solo e il crampo dell'essere solo. In mezzo. In un interstizio. Perché la libertà non è mai a 360°. È negli interstizi, e Gianni l'ha capito, e vivendo di questa percezione ha fatto la più grande rapina del secolo.
In questo preciso istante guardati le scarpe e posa quel cappello Questo che sentite è un crescendo d'archi suppongo settime aumentate ma forse è il solo tuo compito supporre settime aumentate, il tuo secondo lavoro, secondo solo al primo come per tutti gli uomini si, perché il vero mestiere dell'uomo è andarsene.
E il dolce suicidio pervenne a monte ali gravide, procedette da ovest c'era gente impettita ma io nulla, morii lo stesso, indefesso.
Il dolce suicidio soggiunse lo stesso esausto delle mie stesse geografie mentali sovvenne e ravvenne e soggiacette nonostante una totale assenza di tracce di lirismo.
C'era un vento era giallo, come di gente che resta, grottescamente in un'aria di zolfo sinistra, forse era l'odore delle ceneri, una specie di incenso.
Il dolce suicidio si chiamò con nomi di droghe inauditi terrificanti zampogne simboliche che tremavano terra al passo. Eppure il dolore era lì, dentro la gente che rimase, e il dolce suicidio prese terra e ali e zolfo ma soprattutto si prese il mio stato anagrafico.
Fui zero, praticamente in una parola fui, l'unica parola che resta quando la brezza di due nodi tipica del dopo suicidio tesa brezza da est, lo segue e cancella il ricordo.
C'era gente gialla, come di gente che resta vento, esausta delle sue stesse geografie mentali, che rimase dolore permanente, come in una costante di Bohr.
Era il mio suicidio, eppure appartenne per sempre a quelli che restarono, nonostante un'assenza apparente di tracce di lirismo. Io ricordo il pianto di alcuni, come di bave colanti su zigomi assolti, come di bave colanti sopra un immacolata tenace assoluzione.
E il dolce suicidio lo chiamavano con parole di Freud, di Kant e di Moliere, Shakespeare e tante altre salme impettite solo spettinate dalla nota brezza a due nodi del post-suicidio, il mio, ma anche di tutti, come un postulato di Bohr.
Rimase il suicidio, ma soprattutto rimasi io, perché nel frattempo colò un Dio e divenni eterno di non so quale pasta eterna, tipo giallo, con odore di vento, teso, da est, due nodi, e guardo insieme a tutti gli esimi suicidi la gente che resta tesa, da est, a spergiurare dentro le proprie nauseanti geografie mentali, a scongiurare con segni di croce e rosari il proprio suicidio, tutto, perfettamente, in un apparente assenza di lirismo.