Tramonto di primavera
Come di solco tracciato di fresco,
d'aratro,
tra campi,
da mano sicura,
così ridestava,
l'aspra ferita aperta,
l'eterno paziente divenir della vita.
Commenta
Come di solco tracciato di fresco,
d'aratro,
tra campi,
da mano sicura,
così ridestava,
l'aspra ferita aperta,
l'eterno paziente divenir della vita.
Una fredda parete rocciosa,
ruvida ed aspra,
come arsa da vento deciso,
fumante in un grigio silenzio
L'immane sipario stava lì, davanti a lui.
Immobile.
Sospeso,
sopra i suoi ansanti sospiri.
E lui sapeva che solo la vita
che gli scorreva dentro
avrebbe potuto sollevarlo.
Non era un temporale.
Era pioggia silenziosa e fredda.
Il viale, immerso nel grigio,
mostrava solo rami d'alberi spogli.
Stava passando davanti ad una chiesa,
completamente, tutto, bagnato.
Si levò anche il vento.
Gli cadde il cappello nel fango,
tra le foglie.
Si chinò per riprenderlo e,
nel farlo, si girò verso di me.
Ma i suoi capelli gli coprirono
il viso, ed io non vidi
il suo volto.
Sera di tardo autunno a nord.
Guardavo immerso in una soffice nebbia,
fitta e velata da una soffusa melanconia.
Le luci dei vicoli forgiavano lievi coni
sospesi alle pareti delle case, come giganti campane inermi.
L'aria, al respiro, intrecciava profumi di torba e mosto.
E il colore, diffuso, affrescava ampie arcate di morbida quiete.
Nella taverna della cantina fragranti effluvi
dal paiolo sul fuoco del caminetto.
Nell'aia di fronte, cosparsa di foglie,
fiamme brulicanti e fumi intrisi d'aromi.
Attorno alle braci ardenti, ombre oscure
coglievano ritmi svaniti nel tempo.
Sono tanti giorni ormai che il vento spira da terra.
Le onde non si frangono sulla spiaggia e la loro
schiuma viva non bagna da tempo la sabbia arsa dal sole.
Anche i licheni hanno sete, persino i sassi.
E tutta la vita, in un'attesa immobile, sembra pregare.
Madri impazzite guardano
vecchi recitare orazioni
su libri rigonfi di pianto.
Scendeva lentamente su di lui,
che già non ci vedeva più,
una pioggia fittissima e
silenziosa.
Così come
quando d'estate
cala velata la sera,
rimase
là, dove nessuno grida.
È di un fiore il sorriso che l'apre alla vita,
tra molti, in un campo, d'estate, una sera.
Com'è d'uomo la gioia tremante e smarrita,
nel vedere che ancor è già qui primavera.
La giostra gira e porta
un bimbo triste.
Poi, finito il tempo, si ferma.
Occhi lucidi si cercano.
Un nodo in gola
stringe forte le due anime.
Òrloz scintillava in alto, di sopra la bruma,
sospesa
sull'erica di brughiera.
A volte, solcando la steppa, giungeva
alle piante del sale e
calava
poi sulle sponde dell'Aral,
scovando vecchie conchiglie.
Fiero, infine, osava ripetersi.