Oh tu, divin poeta che tessevi le lodi delle genti d'Abruzzi da fanciullo l'amasti.
Allorché t'allontanasti per migrar nell'altrui colline ripudiasti la natia terra per volere dell'amato-odiato padre tuo.
Ti gloriasti delle tue volgarità. I perversi giochi fecero di te l'uomo sprezzante colui che tutto prese e nulla gli restò.
Misera vita fu la tua! D'un sol fendente due volte sconfitto fosti: dall'amore dei figli e di colei che fanciulla ti regalò la rosa.
Come gli incappucciati del Venerdì Santo i creditori sfilarono in processione spogliando la lugubre dimora ormai nuda d'ogni cosa.
Nella tua confusa mente le bramose amanti si trasformarono in famelici felini desiderosi di sbranare ogni piccola parte del macerato e ripugnante corpo.
Gli esiliati, spenti tramonti mai furono come il sole che, lentamente, scendeva dietro le misteriose gobbe delle rosse montagne italiche.
Ricco d'intelletto, agitasi oltr'alpe il Tricolore per far ritorno in quel Paese dal quale, irriverente, fuggisti.
Capace fosti d'incendiar il cor sublime dei giovin soldati pronti a marciar pel fronte maledetto.
Fier sul petto splendean argenti, croci...
Dell'onore dei compagni caduti in volo per la Patria ti appropriasti mentre ti trastullavi tra le sconce cosce delle putride amanti.
Il tuo Patriottismo celava l'ingordigia e la sete di successo che carpivi con orripilanti artati inni.
Offristi il silenzio politico offendendo la memoria di chi, un dì lontano, sacrificò la propria vita per l'amor Patrio.
Comandande Gabriele Rapagnetta che d'Annunzio non fu mai, Vate d'Italia, chi tu fosti in verità?