Ho per amico un bell'originale commesso farmacista. Mi conforta col ragionarmi della sposa, morta priva di nozze del mio stesso male.
«Lei guarirà: coi debiti riguardi, lei guarirà. Lei può curarsi in ozio; ma pensi una modista, in un negozio... Tossiva un poco... me lo scrisse tardi.
Torna!... Tornò, sì, morta, al suo villaggio. Pagai le spese del viaggio. E costa! Vede quel muro bianco a mezza costa? È il cimitero piccolo e selvaggio.
Mah! Più ci penso e più mi pare un sogno. La dovevo sposare nell'aprile; nell'aprile morì di mal sottile. Vede che piango... non me ne vergogno.»
Piangeva. O morta giovane modista, dal cimitero pendulo fra i paschi non vedi il pianto sopra i baffi maschi del fedele commesso farmacista?
«Lavoro tutto il giorno: avrei bisogno a sera, di svagarmi; lo potrei... Preferisco restarmene con lei e faccio versi... non me ne vergogno.»
Sposa che senza nozze hai già varcato la fiumana dell'ultima rinunzia, vedi lo sposo che per te rinunzia alle dolci serate del curato?
Vedi che, solo, e affaticati gli occhi fra scatole, barattoli, cartine, preferisce le tue veglie meschine alle gioie del vino e dei tarocchi?
«Non glie li dico: ché una volta detti quei versi perderebbero ogni pregio; poi, sarebbe un'offesa, un sacrilegio per la morta a cui furono diretti.
Mi pare che soltanto al cimitero, protetti dalle risa e dallo scherno i versi del mio povero quaderno mi parlino di lei, del suo mistero.»
Imaginate con che rime rozze, con che nefandità da melodramma il poveretto cingerà di fiamma la sposa che morì priva di nozze!
Il cor... l'amor... l'ardor... la fera vista... il vel... il ciel... l'augel... la sorte infida... Ma non si rida, amici, non si rida del povero commesso farmacista.
Non si rida alla pena solitaria di quel poeta; non si rida, poi ch'egli vale ben più di me, di voi corrosi dalla tabe letteraria.
Egli certo non pensa all'euritmia quando si toglie il camice di tela, chiude la porta, accende la candela e piange con la sua malinconia.
Egli è poeta più di tutti noi che, in attesa del pianto che s'avanza, apprestiamo con debita eleganza le fialette dei lacrimatoi.
Vale ben più di noi che, fatti scaltri, saputi all'arte come cortigiane, in modi vari, con lusinghe piane tentiamo il sogno per piacere agli altri.
Per lui soltanto il verso messaggiero va dal finito all'infinito eterno. «Vede, se chiudo il povero quaderno parlo con lei che dorme in cimitero.»
A lui soltanto, o gran consolatrice poesia, tu consoli i giorni grigi, tu che fra tutti i sogni prediligi il sogno che si sogna e non si dice.
«Non glie li dico: ché una volta detti quei versi perderebbero ogni pregio: poi sarebbe un'offesa, un sacrilegio per la morta a cui furono diretti.»
Saggio, tu pensi che impallidirebbe al mondo vano il fiore di parole come il cielo notturno che lo crebbe impallidisce al sorgere del sole.
Di me molto più saggio, che licenzio i miei sogni, o fratello, tu mantieni intatti fra le pillole e i veleni i sogni custoditi dal silenzio!
Buon custode è il silenzio. E le tue grida solo la morta giovane modista ode: non altri della folla, trista per chi fraternamente si confida.
Non si rida, compagni, non si rida del poeta commesso farmacista.
... Le bianche antiche statue acefale o camuse, di mistero soffuse nelle pupille vacue:
Stagioni che le copie dei fiori e delle ariste arrecano commiste entro le cornucopie,
Diane reggenti l'arco e le braccia protese e le pupille intese verso le prede al varco,
Leda che si rimira nell'acque con il reo candido cigno, Orfeo che accorda la sua lira,
Giunone, Ganimede, Mercurio, Deucalione e tutta la legione di un'altra morta fede:
erme tutelatrici di un bello antico mito, del mio tedio infinito sole consolatrici,
creature sublimi di marmo, care antiche compagne e sole amiche dei miei dolci anni primi;
ecco: ritorno a Voi dopo una lunga assenza senza più vita, senza illusïoni, poi
che tutto m'ha tentato, tutto: anche l'immortale Gloria, e il Bene ed il Male, e tutto m'ha tediato.
La bisavola mia voi già consolavate ed ora consolate pur la malinconia
del pallido nipote. Parlategli dell'Ava quando pellegrinava nell'epoche remote
recando i suoi affanni per questi stessi viali all'ombre sepolcrali, or è più di cent'anni.
È certo che la stessa mia pena la teneva però che un senso aveva fine di poetessa.
Soltanto a dolorare veniva a questa volta oppure qualche volta piacevale rimare
cantando il suo dolore tra Voi, erme, lungh'essi i bussi ed i cipressi, e il suo lontano amore?
Era la sua figura meravigliosa e fina, la bocca piccolina qual nella miniatura?
Divisi i bei capelli in due bande ondulate siccome le beate di Sandro Botticelli?
Aveva un peplo bianco di seta adamascata e che la grazia usata apriva un po' di fianco?
(In vano l'apertura fermavan tre borchiati finissimi granati, ché la camminatura
lenta scopriva all'occhio il polpaccio scultorio e la gamba d'avorio fino quasi al ginocchio. )
Portava un cinto a belle Meduse in ciel sereno che costringeva il seno fin sopra delle ascelle?
Ed ostentava i bei piedini incipriati da i diti costellati di gemme e di cammei?
Io rivedo così la solitaria lenta innalzare ancora tra gli spessi mirti e fra l'urne e l'erme ed i cipressi la candida persona statuaria.
I fauni si piegavano a guatarne cupidi la bellezza; al suo passare volgevansi le iddie, a riguardare la sorella magnifica di carne.
Ma non sempre fu sola. Un dì riscosso sembrò il ricordo delle antiche larve: la Poetessa in quel mattino apparve tutta vestita di broccato rosso.
Anche recava, contro il suo costume, due rose rosse nelle nere chiome: lucevan le pupille azzurre come rinnovellate da inconsueto lume.
Scende nel parco e pone sovra un coro due libri: Don Giovanni e Parisina. Poi trascolora: un'ombra s'avvicina fra i boschetti del mirto e dell'alloro.
Chi viene? Ecco nel folto delle verdi piante un giovane bellissimo avanzare (Anima, non tremare, non tremare. ) ed il suo passo è un poco claudicante.
Chi viene dunque ai sogni ed all'oblio? (Anima, non tremare, non tremare. ) Ha l'iridi color di verde mare; nelle sembianze è simile ad un Dio.
È Lui, è Lui che vien per la maestra strada dei lauri. Or ecco, è già da presso (ed era questo il luogo? Questo stesso? ) Vedo già l'Ava porgergli la destra
e il Poeta ribelle dei Britanni la bianca mano inchinasi a baciare (Anima, non tremare, non tremare) fra questi bussi... Or è quasi cent'anni.
Il bimbo guarda fra le dieci dita la bella mela che vi tiene stretta; e indugia - tanto è lucida e perfetta - a dar coi denti quella gran ferita.
Ma dato il morso primo ecco s'affretta: e quel che morde par cosa scipita per l'occhio intento al morso che l'aspetta... E già la mela è per metà finita.
Il bimbo morde ancora - e ad ogni morso sempre è lo sguardo che precede il dente - fin che s'arresta al torso che già tocca.
"Non sentii quasi il gusto e giungo al torso! " Pensa il bambino... Le pupille intente ogni piacere tolsero alla bocca.