Tremola poco lontano la tua fragrante figura. Sarò dolce in questa notte fatata, di stella, lacrima e poesia; tra le mie mani si ribella, l'arancia che solo nella mia bocca matura.
Pigro ti ascolto morire e quasi muoio sereno.
Saluto con un cenno di cuore il tuo sorriso che guarda altrove, e deformandoti in viso, scivola una lacrima di cristallo sul tuo seno.
La tua bocca s'apre a guisa di rosa e tace.
Un cenno di primavera sembra verdeggiare nei tuoi occhi, come scoglio in calmo mare o brezza di vento tra le foglie, pianto di pace; che brucia tutto il resto che per me è natale; brucia il fuoco dentro se stesso nel movimento, solo una lacrima può redimere uno, dieci, cento errori che mi hanno visto sbagliare uguale.
Ti vedo tra le sordide finestre del pensiero, uguale a mille baci di donna già assaporati allora, finiti già, ancor prima d'esser iniziati, persi nella notte di chi sono o di chi ero.
E continuo a non capire tutto il tuo pianto di cera.
Barcollo nella nebbia delle mie troppe risposte accompagnate poche volte, da domande poste male o mai poste, che di luce illuminano la sera.
Vibrano corde stonate al pensiero di lei. Riverberi di specchio e stelle annegano nel mare della mia rinnovata solitudine; schiantano sui miei occhi stanchi bagliori, nuovi, tristi piaceri che l'anima rude schiude; antichi suoni, schiusi dalla porpora di stelle di cui si bagna mesta la mia pelle; questa, è la polvere stellare; lascia la scìa, mi sugge linfa vitale da bere dalla sorgente: la mia.
Guardo il suo sguardo che nell'infinito oceano mi mostra le mille rotte, sono solo, io, questa notte e mille altre.
Lacero in brandelli di seta e pianto il pensiero fugace; di lei.
L'animo mio innamorato, è fallace dinanzi al canto inumano; è straziato. Tremola la mano levata verso il tuono, poco distante, in segno di sfida o forse di perdono, ma il gesto è insistente, non odo alcun suono, se non il pensiero d'un uomo che si pente d'aver intessuto di passato il suo presente, tanto d'aver finito con il vestire d'abito scuro ciò che poteva avere tra le mani ora; o in futuro.
Ascolto solo l'urlo che mi accompagna, mi consola, questa notte sola o mille altre e altre ancora.
Dolci le mani smaniose di proibito su di me torci piano; un filo di gemito m'accarezza le tempie, soffio leggero, gonfio è il pensiero mio nel ventre; un'impudica ebbrezza m'empie di getto, rosso di voglia il mio petto nudo, distratto dalla tua carnosa opulenza, s'agita sotto. Imploro clemenza, assaporo i tuoi gemiti, scostanti; linfa s'insinua in ogni poro lasciando distanti i gesti di mano e le colate d'oro pressanti, come acqua e diga in esplosione rallento dolcemente, lo sento lei mi sente mentre pigra la mia voglia latente lacera il mio ventre e grida.
Quando la notte scenderà per darmi torto un soffio leggero di vento mi sussurrerà "vendicati!" Mi alzerò confuso dal fango che mi ha visto cadere, guarderò il cielo piangere pioggia di cristallo e dai miei occhi pioveranno solamente lacrime di perdono.
La mia rabbia per te non è sopita ma lo farà domattina; si ridesterà solo quando la tua carezza brucierà la mia pelle vergine. Avevo gli occhi chiusi dalle tue parole.
Un tuo sguardo ha aperto la mia anima e l'ha lasciata finalmente volare sola.
Un un altro giorno ancora Scivola piano sulle mie mani vuote, respiro gli occhi rubati per strada e li raccolgo nel contenitore dei sogni da uccidere, e lo farò come sempre prima che l'alba accarezzi il mio balcone con la sua solita gelida mano d'una nuova falsa illusione.