Prima che asciughino quei due o tre baci sulla fronte e qui e lí, ti chinerai per bere acqua d'argento dallo specchio, e se nessuno ti starà a guardare ti toccherai le labbra con la bocca.
C'è un tempo in cui piú svelto delle dita che lo scultore passa sulla creta il sangue impaziente ti modella il corpo dal di dentro.
Forse stringerai tra le dita i tuoi giovani capelli e li solleverai sopra le spalle perché somiglino piuttosto ad ali, e davanti a loro prontamente correrai là dove proprio davanti agli occhi e sul fondo estremo dell'aria sta il grande, erto, conturbante e dolce nulla, che splende.
Ho veduto solo una volta un sole così insanguinato. E poi mai più. Scendeva funesto sull'orizzonte e sembrava che qualcuno avesse sfondato la porta dell'inferno. Ho domandato alla specola e ora so il perché.
L'inferno lo conosciamo, è dappertutto e cammina su due gambe. Ma il paradiso? Può darsi che il paradiso non sia null'altro che un sorriso atteso per lungo tempo, e labbra che bisbigliano il nostro nome. E poi quel breve vertiginoso momento quando ci è concesso di dimenticare velocemente quell'inferno.