O soave che balsamo soffondi alla quieta mezzanotte, e serri con attente e benevole le dita gli occhi nostri del buio compiaciuti, protetti dalla luce, avvolti d'ombra nel ricovero di un divino oblio. O dolcissimo sonno! Se ti piace chiudi a metà di questo, che è tuo, inno i miei occhi in vedetta, o attendi l'Amen prima che il tuo papavero al mio letto largisca in carità il suo dondolio. Poi salvami, altrimenti il giorno andato lucido apparirà sul mio guanciale di nuovo, producendo molte pene, salvami dall'alerte coscienza che viepiù insignorisce il suo vigore causa l'oscurità, scavando come una talpa. Volgi abile la chiave nella toppa oliata e dà il sigillo allo scrigno, che tace, del mio cuore.
Se avessi le forme di un bel corpo virile, sottili i miei sospiri potrebbero echeggiare, come in tornito avorio, al tuo orecchio, trovando via al tuo cuore gentile - passione bene mi armerebbe all'impresa. Ma, ahimé! Non sono il cavaliere che uccide l'avversario, corazza non risplende sul mio petto elato, né sono l'ingenuo pastore della valle, le cui labbra han tremato per occhi di fanciulla. Eppure devo delirare per te, dirti più dolce delle rose melate dell'Ibla, asperse di rugiada così densa che inebria. Ah! tal rugiada mi giova, la suggerò, cogliendola, con incanti e magia, quando si svela il volto pallido della luna.
D'oro una penna datemi, e lasciate che in limpidi e lontane regioni sopra mucchi di fiori io mi distenda; portatemi più bianca di una stella o di una mano d'angelo inneggiante quando fra corde argentee la vedi di arpe celesti, un'asse per scrittoio; e lasciate lì accanto correr molti carri color di perla, vesti rosa, e chiome a onda, e vasi di diamante, e ali intraviste, e sguardi penetranti. Lasciate intanto che la musica erri ai miei orecchi d'intorno; e come quella ogni cadenza deliziosa tocca, lasciate che io scriva un verso pieno di molte meraviglie delle sfere, splendido al suono: con che altezze in gara il mio spirito venne! Nè contento è di restare così presto solo.