Gli occhi aperti nel buio contagiano d'oscurità la mente. Irrompe la danza tribale libera e forsennata del pensiero illegittimo. Scintille di parole convulse strepitio troppo vicino e snervante frasi non volute. Echi incandescenti di voci prigioniere. Arde il fuoco nero che spegne dalle gambe alle tempie brucia il controllo. In bocca cenere di pace.
Ti ho conosciuto nell'innaturale bellezza nell'unica vera condivisione possibile. Lasciami ora. Odore d'ospedale. Brucia il sole come quella prima boccata d'aria, che per quanto artificiosamente sterile sarà sempre corrotta. La limitatezza di una madre. Inevitabile compromesso. Sgomento e pianto che ti ho risparmiato. Rimbalza rapido da me per me l'inutile pensiero. Non so camminare non so respirare non so dormire né mangiare. Ti ho ucciso senza metafora e con troppo dolore.
Grigi echi si sovrappongono tra identici palazzi in cemento armato. È caotica la stoltezza creativa. Il vento delle parole nasce dentro culla i colori imbruniti appesi ai fili ad asciugare: lieve brezza accarezza i pensieri fioriti vortice impetuoso demolisce edifici di convenzioni. La bellezza del cielo notturno ricorda la solitudine delle stelle. Evapora la memoria dopo il lavoro si appiccicano addosso i ricordi condensati. Un passo indietro, dalla fine del mondo, per non cadere nel vuoto.